Idee, scarpe, ricette Ecco Theresa, una conservatrice controcorrente
Scarpe alla May: una frase entrata nel gergo. Se sul lavoro la sua serietà è assoluta, nella scelta del vestiario, e degli accessori in particolare, il neo primo ministro britannico sfoggia spesso una nota frivola. Stivali alti, décolleté striati, colorati, a pelle di leopardo: l’unica nota inaspettata, e quindi molto fotografata, di una donna che ha fatto della determinazione e dell’impegno un motto. «Non sono una che parla, sono una che fa», ha sottolineato recentemente. Lo dimostrano i fatti, oltre che le parole di amici, rivali e colleghi come l’ex ministro Kenneth Clarke, che senza accorgersi del microfono acceso l’ha definita «una donna molto difficile»’ prima di aggiungere che è anche «molto brava», o il deputato Damian Green, che la conosce da quando erano giovanissime matricole universitarie. «È una persona saggia e intelligente su cui fare affidamento: se ha qualcosa da dirti te la dice in faccia, mai dietro le spalle».
Come il Notting Hill set di David Cameron, George Osborne e Boris Johnson ha frequentato l’università di Oxford, ma le somiglianze terminano lì. Se Cameron è imparentato con l’aristocrazia, May è completamente middle class. Il padre era un prete anglicano, il nonno un ufficiale dell’esercito, le nonne governanti. Ha studiato non in un prestigioso collegio privato, ma in una grammar school, ovvero una scuola statale selettiva. Abita a Sonning, nel Berkshire, assieme al marito Philip, un banchiere conosciuto all’università e sposato 35 anni fa. I suoi hobby sono la cucina — ha più di cento libri di ricette e le piace fare la pasta fresca a mano — e le passeggiate in montagna. Tra le sue canzoni preferite ci sono Dancing Queen degli Abba e Walk like a man, ma ascolta anche Mozart Festa Theresa May, 59 anni, con il marito Philip John May, di professione banchiere
ed Elgar. Se dovesse scegliere un lusso si concederebbe un abbonamento a vita a Vogue. Twitter, dice, è una perdita di tempo e la vita privata deve rimanere tale.
Se, come dicono i suoi sostenitori, «è esattamente come sembra», pubblicamente e privatamente è anche molto ambiziosa. Non ne ha mai fatto un segreto. Già all’università confidò ad alcuni compagni di voler diventare la prima donna primo ministro. Venne battuta da Margaret Thatcher, un fatto che forse fece da catalizzatore. Fu proprio durante il periodo della lady di ferro, infatti, che Theresa decise, dopo sei anni trascorsi nella City, di entrare in politica. Aveva le credenziali giuste. All’università aveva frequentato la Oxford Union, la società di dibattiti che è considerata l’anticamera di Westminster. Suo marito Philip ne era stato presidente (li aveva presentati Benazir Bhutto, a Oxford con loro). Prima di centrare l’obiettivo nel 1997, tentò due volte di essere eletta in parlamento. Il successo non si è fatto attendere. Entrò nel governo ombra con William Hague, già nel 1999, e nel 2002 diventò la prima presidente donna del partito conservatore. È ministro degli interni dal 2010.
Si esprime chiaramente anche quando sa di andare incontro a contrasti e grattacapi. Nel 2002 durante l’assemblea dei Tories criticò la direzione del partito, denunciando una visione del mondo eccessivamente limitata. «Ci hanno soprannominato il nasty party», il partito dei cattivi, disse, precisando che per raccogliere i consensi necessari si doveva cambiare. Due anni fa intervenne al congresso della polizia auspicando una metamorfosi radicale: «La corruzione tra di voi non si limita a poche mele marce». Ha appoggiato le donne del partito e aiutato la nuova generazione. È da sempre a favore dei matrimoni gay e di una maggiore rappresentazione per le minoranze, anche se sull’immigrazione ha adottato una linea dura, definendo i livelli attuali insostenibili.