«Va’ a giocare in là» E sulle spiagge nacque il nuovo sport balneare: il lancio del pupo
Si preferirebbe di no, ovvero si vorrebbe vivere in qualche estate precedente. Di quando eravamo giovani e le crisi di stagione coinvolgevano Casini nudo in barca, l’intera famiglia Grimaldi di Monaco, il Merolone. C’erano grandi acquisti presunti ironici di settimanali pettegoli, non c’erano smartphone; addirittura, spesso, si rideva. Ora meno. Ora è un’estate in cui la parola «pizza» si scrive con la maiuscola ed evoca faccendieri legati ai cari del ministro Alfano; «gelato» diventa aggettivo e descrive lo stato d’animo di molti post Brexit pre, forse, nuovi problemi globali; e la spiaggia sembra l’ultima, per chi ha investito in titoli bancari o, più banalmente e giovanilmente, è disoccupato. Però ci si va, magari la domenica, e magari anche lì si riflette. Magari su alcuni sport balneari che esprimono l’italianità peggiore. Si parte dal lancio del pupo, specialità che consiste nel dire «vai a giocare più in là» e poi appennicarsi, mentre la prole fa rumore e corre altrove, sollevando sabbia che raggiunge corpi di incolpevoli nullipari e genitori altrui. Si passa per la telefonata urlata, purtroppo in declino; la messaggistica spinge noi origliatori verso arenili remoti; osservare zombie da ombrellone non vale il prezzo dello stabilimento, Si arriva al culmine con gli abusi sui venditori abusivi: trattati con il tu come se avessero tre anni o fossero esseri inferiori, obbligati a smontare balle di merce sotto il sole da sciure annoiate, costretti a sentire battute orrende su di loro da signori — si fa per dire — che nessuno definirebbe neanche «ultrà» (come nuova parola dell’estate, dopo l’uccisione del profugo nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi, e altro si potrebbe proporre «razzista di m.»; perché rischia di diventare una moda di stagione, peggio del beach volley).
E la telefonata urlata del vicino? Non è la stessa con la messaggeria