Corriere della Sera

«Va’ a giocare in là» E sulle spiagge nacque il nuovo sport balneare: il lancio del pupo

- Di Maria Laura Rodotà

Si preferireb­be di no, ovvero si vorrebbe vivere in qualche estate precedente. Di quando eravamo giovani e le crisi di stagione coinvolgev­ano Casini nudo in barca, l’intera famiglia Grimaldi di Monaco, il Merolone. C’erano grandi acquisti presunti ironici di settimanal­i pettegoli, non c’erano smartphone; addirittur­a, spesso, si rideva. Ora meno. Ora è un’estate in cui la parola «pizza» si scrive con la maiuscola ed evoca faccendier­i legati ai cari del ministro Alfano; «gelato» diventa aggettivo e descrive lo stato d’animo di molti post Brexit pre, forse, nuovi problemi globali; e la spiaggia sembra l’ultima, per chi ha investito in titoli bancari o, più banalmente e giovanilme­nte, è disoccupat­o. Però ci si va, magari la domenica, e magari anche lì si riflette. Magari su alcuni sport balneari che esprimono l’italianità peggiore. Si parte dal lancio del pupo, specialità che consiste nel dire «vai a giocare più in là» e poi appennicar­si, mentre la prole fa rumore e corre altrove, sollevando sabbia che raggiunge corpi di incolpevol­i nullipari e genitori altrui. Si passa per la telefonata urlata, purtroppo in declino; la messaggist­ica spinge noi origliator­i verso arenili remoti; osservare zombie da ombrellone non vale il prezzo dello stabilimen­to, Si arriva al culmine con gli abusi sui venditori abusivi: trattati con il tu come se avessero tre anni o fossero esseri inferiori, obbligati a smontare balle di merce sotto il sole da sciure annoiate, costretti a sentire battute orrende su di loro da signori — si fa per dire — che nessuno definirebb­e neanche «ultrà» (come nuova parola dell’estate, dopo l’uccisione del profugo nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi, e altro si potrebbe proporre «razzista di m.»; perché rischia di diventare una moda di stagione, peggio del beach volley).

E la telefonata urlata del vicino? Non è la stessa con la messaggeri­a

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