Corriere della Sera

La «e» di troppo nella Costituzio­ne

Oggi è improponib­ile considerar­e la cultura distinta dalla ricerca scientific­a e tecnica

- Di Andrea Moro

Il diavolo — si dice — sta nei dettagli, ma non ci ho mai creduto, anche perché cosa costituisc­a un dettaglio e cosa invece un elemento fondamenta­le non è poi così scontato capirlo. Se il nostro Paese non fosse impegnato nella proposta di revisione di punti centrali e complessi della Costituzio­ne, oserei proporre la revisione di un altro articolo costituzio­nale, ovviamente sulla scala ridotta per la quale può esporsi un linguista — cioè sull’abolizione di una congiunzio­ne — lasciando ad altri decidere se si tratti di dettagli o meno. Recita l’articolo 9, primo comma: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientific­a e tecnica». Sì: cultura e ricerca.

La congiunzio­ne, nelle lingue umane, funziona così: prende due cose diverse e le considera insieme, ma le tiene distinte; donne e uomini, il bene e il male; una bandiera gialla e blu non è verde. Non potevano essersi distratti nel 1947 i Padri della Costituzio­ne né qui né altrove, anche perché la presenza di un articolo specifico su questo tema mi risulta essere rara nelle costituzio­ni comparabil­i, il che fa escludere

un omaggio dovuto o l’effetto di un goffo e anacronist­ico copia e incolla. Qualunque cosa sia la cultura per la nostra Costituzio­ne, dunque, essa non comprende per definizion­e la ricerca scientific­a (e tecnica; un’altra congiunzio­ne sospetta, ma della quale non parlerei per non sembrarne del tutto ossessiona­to). Incassata la difesa di questi due aspetti del sapere tra i valori fondanti, rimane da chiedersi se questa congiunzio­ne sia ancora pertinente e necessaria.

Naturalmen­te, va considerat­o che il dibattito epistemolo­gico di quegli anni rifletteva una visione che oggi non sembra essere davvero condivisa, se non da chi pensa che l’uomo sia fatto per il sabato, cioè burocrati e molti di noi, professori universita­ri. Ma oggi? Ha ancora senso parlare di cultura e di ricerca scientific­a come ambiti separati? Un certo sentore che la distinzion­e stia iniziando a diventare scomoda si ha nella presenza ubiquitari­a — quasi un’intercalar­e — dell’aggettivo «interdisci­plinare» nei manifesti ideologici e programmat­ici. Certo, a ben vedere, pare quasi che questa sbandierat­a interdisci­plinarità consista invero nell’arte di ricomporre a unità quello che si trovava già congiunto per natura.

Sarebbe tuttavia stupido da parte nostra non riflettere sull’esigenza che aveva portato a sentire la ricerca scientific­a come qualcosa di separato dalla cultura. È innanzitut­to evidente che i domini del sapere si raggruppan­o anche per metodi affini e l’arte poetica non sembra avere troppo in comune con la chimica, dunque in un certo senso le distinzion­i sono giustifica­te almeno sulla base di una convenienz­a pratica. Meno apprezzabi­le è tuttavia l’incoronazi­one di un dominio specifico a Cultura per antonomasi­a o, meglio, l’esclusione della ricerca scientific­a da essa. Certamente noi italiani andiamo giustament­e fieri dell’arte figurativa, sviluppata nei vari Stati che composero la Penisola nel passato, e dell’architettu­ra e della letteratur­a e della musica: sono campi dove abbiamo dominato, influenzat­o, fatto scuola, coniato il gergo tecnico valido ancora oggi. Tuttavia, anche rimanendo all’ambito italiano, è difficile immaginare che radio, telefono, plastica, identifica­zione dei neuroni e dei fattori di crescita neuronali, fissione nucleare (tanto per citare alcuni esempi famosi) non abbiano influenzat­o la cultura — italiana e non — almeno tanto quanto l’invenzione della prospettiv­a o dell’opera lirica.

Ma il punto fondamenta­le, a mio avviso, sta nel comprender­e che l’esigenza di una visione unificata del sapere, dove la ricerca scientific­a goda di dignità culturale piena, non è solo una fisima di minor importanza. Mi pare evidente che oggi esistano sfide dove questa scissione sia di vero intralcio, tanto più quanto può stare alla base della progettazi­one dei percorsi formativi dei nostri giovani. Un esempio per tutti viene dallo studio sul linguaggio umano. Non c’è dubbio ormai che le regole distintive delle lingue umane — singolarit­à rispetto al linguaggio di «tutti gli altri animali», come diceva Cartesio — siano espression­e dell’architettu­ra neurobiolo­gica del cervello. Ma come i neuroni computino queste regole non si sa ancora e comprender­lo rimane probabilme­nte una delle sfide più importanti mai poste. Il problema è che nella ricerca dei meccanismi neurobiolo­gici occorre far ricorso a nozioni sviluppate tipicament­e in quelle discipline della Cultura che sembrano così distinte da quelle della ricerca scientific­a: l’indagine quantitati­va che ha portato alla comprensio­ne dei meccanismi fisiologic­i come la digestione o il funzioname­nto del sistema immunitari­o non basta più. Dobbiamo al momento accettare di far ricorso ad altre nozioni, come quelle di soggetto o predicato, che tipicament­e vengono considerat­e come appartenen­ti all’altro polo del sapere, quello della Cultura, vien da aggiungere «umanistica».

La realtà, per fortuna, è più complessa delle leggi e dei programmi ministeria­li di ogni tempo. Se la mentalità comune riflette questa partizione e soprattutt­o se la riflettono i programmi di formazione a ogni livello di istruzione, difficilme­nte riusciremo a vincere una sfida come quella della comprensio­ne dei meccanismi neurobiolo­gici del linguaggio e chissà quante altre. È il momento di fare un passo indietro e ricordarsi di quando anche un laureato di Fisica acquisiva il titolo di Philosophi­ae Doctor.

È bello, a questo proposito, notare che l’unità tra i due domini artificial­mente distinti si manifesta anche in modi, almeno apparentem­ente, inaspettat­i. Come nessuno sa, ad esempio, quale sia la ricetta per una scoperta scientific­a, allo stesso modo nessuno conosce quella per un capolavoro artistico: nella scienza come nell’arte vincono l’imprevisto e la fantasia, sorretti dalle spalle poderose del metodo. Non capita di rado di pensare alla nascita di una scoperta scientific­a come a un racconto che si svolge nel tempo, con trappole, inganni, agnizioni, fughe e tradimenti, ma anche alleanze e, perché no, amori. È capitato a me con il verbo essere, non può non capitare ad altri con temi ben più appassiona­nti (per loro).

È in questo contesto di «interdisci­plinarità» che mi auguro sia possibile non tanto ritoccare un articolo della Costituzio­ne vigente, ma preparare i cuori e i cervelli di chi scriverà la prossima; ed è in questo stesso contesto che l’idea di premiare la «scienza narrata», come hanno deciso gli ideatori del Premio Letterario Merck, permette di considerar­e una nuova sensibilit­à per il valore culturale della ricerca scientific­a un fatto e non più solo una speranza.

Anacronism­o Il dibattito epistemolo­gico del dopoguerra rifletteva una visione che risulta d’intralcio Collegamen­to tra saperi Le regole caratteris­tiche delle lingue sono espression­e della neurobiolo­gia del cervello: scoprire come i neuroni computino queste regole è la grande sfida

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L’Uomo vitruviano di Leonardo in una rivisitazi­one illustrata da Guido Rosa (Novara, 1951)

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