RITRADURRE I CLASSICI: IL CASO KAFKA
Igrandi capolavori devono essere tradotti pressoché a ogni generazione, perché contengono delle potenzialità nascoste, che la Storia via via estrae dal loro nucleo e dalla loro forma; contengono delle risposte brucianti a domande dell’epoca non ancora esplicitamente formulate e che essi esprimono con una forza che investe i lettori e continua a investire le generazioni che si succedono nel tempo.
Nessuna traduzione, anche eccellente, di una grande opera è definitiva; per questo è stato ad esempio necessario che Renata Colorni ritraducesse di recente La montagna magica di Thomas Mann o che vi siano diverse traduzioni di Moby Dick, nonostante la geniale versione di Cesare Pavese. È quanto ha fatto ora, con risultati eccellenti, Nicoletta Giacon con un altro capolavoro, la Lettera al padre di Franz Kafka. Nicoletta Giacon è un’agguerrita e valente germanista, perfettamente di casa — fatto non molto frequente — nel tedesco come nell’italiano. Formatasi all’Università di Padova sotto la guida di Emilio Bonfatti, il più grande critico della letteratura barocca tedesca, è una profonda conoscitrice della Germania, in cui ha vissuto e lavorato a lungo.
La Lettera al padre è uno dei grandi testi del Novecento, che, come ogni grande testo, sfonda i confini della pur altissima letteratura per investire i fondamentali nodi dell’esistenza umana e storica. In questo caso, ovviamente ma certo non soltanto, il rapporto tra padri e figli, tema centrale e forse fin troppo sbandierato e volgarizzato sulla scia di superficiali letture ideologiche di Sigmund Freud, non imparziali riguardo ai due contendenti, ognuno invece dei quali — e non solo, come si tende a dire, il figlio — ha i suoi grovigli e le sue pene.
Grande letteratura aldilà della letteratura, odissea nei meandri oscuri e dolorosi della condizione umana. Troppo spesso si è letto questo testo immortale come se in esso esistesse solo Franz Kafka e non anche l’altro, Hermann Kafka, il padre. E troppo spesso si legge la Lettera al padre come si leggono ad esempio la Metamorfosi o Il Verdetto, i grandi racconti, dimenticando che essa è almeno anche una vera lettera, il cui interlocutore, a differenza dai romanzi, dai racconti e forse anche dai diari, non è— o almeno non è in primo luogo — il lettore sconosciuto, ma un destinatario preciso, il signor Hermann Kafka, il padre.
Nicoletta Giacon riesce a far sentire tutto questo sia nella felicissima versione — che rende splendidamente l’ambiguità di questo capolavoro ibrido, l’intreccio di universalità e di umano-troppo umano, strazianti e anche penosi panni di famiglia. È la traduzione, la ricreazione-trasformazione della lingua che permette di penetrare a fondo, di fare un passo ulteriore nella conoscenza di questo capolavoro universale e ambiguo, così come l’introduzione, filologicamente precisa e narrativamente fluida, permette di ricostruire la genesi di questo singolarissimo testo e di spingersi più a fondo nella sua cristallina chiarezza e nelle sue tortuosità, tanto adulterate da troppi interpreti che ne hanno fatto quasi uno slogan standardizzato. Padri e figli — così spesso entrambi derelitti e sopraffatti, quando si affacciano, per rubare un’espressione alla curatrice di questo unicum della letteratura mondiale, «alla finestra del mondo».
La nuova edizione della Lettera al padre di Franz Kafka, con introduzione, traduzione e note di Nicoletta Giacon, è pubblicata da Garzanti, pagine 67, € 6