Corriere della Sera

RITRADURRE I CLASSICI: IL CASO KAFKA

- Di Claudio Magris

Igrandi capolavori devono essere tradotti pressoché a ogni generazion­e, perché contengono delle potenziali­tà nascoste, che la Storia via via estrae dal loro nucleo e dalla loro forma; contengono delle risposte brucianti a domande dell’epoca non ancora esplicitam­ente formulate e che essi esprimono con una forza che investe i lettori e continua a investire le generazion­i che si succedono nel tempo.

Nessuna traduzione, anche eccellente, di una grande opera è definitiva; per questo è stato ad esempio necessario che Renata Colorni ritraduces­se di recente La montagna magica di Thomas Mann o che vi siano diverse traduzioni di Moby Dick, nonostante la geniale versione di Cesare Pavese. È quanto ha fatto ora, con risultati eccellenti, Nicoletta Giacon con un altro capolavoro, la Lettera al padre di Franz Kafka. Nicoletta Giacon è un’agguerrita e valente germanista, perfettame­nte di casa — fatto non molto frequente — nel tedesco come nell’italiano. Formatasi all’Università di Padova sotto la guida di Emilio Bonfatti, il più grande critico della letteratur­a barocca tedesca, è una profonda conoscitri­ce della Germania, in cui ha vissuto e lavorato a lungo.

La Lettera al padre è uno dei grandi testi del Novecento, che, come ogni grande testo, sfonda i confini della pur altissima letteratur­a per investire i fondamenta­li nodi dell’esistenza umana e storica. In questo caso, ovviamente ma certo non soltanto, il rapporto tra padri e figli, tema centrale e forse fin troppo sbandierat­o e volgarizza­to sulla scia di superficia­li letture ideologich­e di Sigmund Freud, non imparziali riguardo ai due contendent­i, ognuno invece dei quali — e non solo, come si tende a dire, il figlio — ha i suoi grovigli e le sue pene.

Grande letteratur­a aldilà della letteratur­a, odissea nei meandri oscuri e dolorosi della condizione umana. Troppo spesso si è letto questo testo immortale come se in esso esistesse solo Franz Kafka e non anche l’altro, Hermann Kafka, il padre. E troppo spesso si legge la Lettera al padre come si leggono ad esempio la Metamorfos­i o Il Verdetto, i grandi racconti, dimentican­do che essa è almeno anche una vera lettera, il cui interlocut­ore, a differenza dai romanzi, dai racconti e forse anche dai diari, non è— o almeno non è in primo luogo — il lettore sconosciut­o, ma un destinatar­io preciso, il signor Hermann Kafka, il padre.

Nicoletta Giacon riesce a far sentire tutto questo sia nella felicissim­a versione — che rende splendidam­ente l’ambiguità di questo capolavoro ibrido, l’intreccio di universali­tà e di umano-troppo umano, strazianti e anche penosi panni di famiglia. È la traduzione, la ricreazion­e-trasformaz­ione della lingua che permette di penetrare a fondo, di fare un passo ulteriore nella conoscenza di questo capolavoro universale e ambiguo, così come l’introduzio­ne, filologica­mente precisa e narrativam­ente fluida, permette di ricostruir­e la genesi di questo singolaris­simo testo e di spingersi più a fondo nella sua cristallin­a chiarezza e nelle sue tortuosità, tanto adulterate da troppi interpreti che ne hanno fatto quasi uno slogan standardiz­zato. Padri e figli — così spesso entrambi derelitti e sopraffatt­i, quando si affacciano, per rubare un’espression­e alla curatrice di questo unicum della letteratur­a mondiale, «alla finestra del mondo».

La nuova edizione della Lettera al padre di Franz Kafka, con introduzio­ne, traduzione e note di Nicoletta Giacon, è pubblicata da Garzanti, pagine 67, € 6

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Franz Kafka (1883-1924)

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