Corriere della Sera

IL MONDO DI BERLUSCONI DIPLOMAZIA DEGLI AFFARI

- Sergio Romano Alessandro Prandi alessandro.prandi51@gmail.com

A proposito del sostegno alla linea Bush per la guerra all’Iraq del 2003, lei, rispondend­o a un lettore, dice chiaro e tondo quale era il prezzo che il Regno Unito avrebbe pagato per vedersi garantito uno statuto particolar­e, diverso da quello di qualsiasi altro Stato occidental­e: lealtà assoluta a Washington, «qualsiasi cosa accada», ebbe a dire Tony Blair. Non ci dice, però, quale sarebbe stato il tornaconto italiano nel caso in cui l’allora presidente del Consiglio Berlusconi fosse riuscito a dimostrare altrettant­a lealtà inviando in Iraq un corpo combattent­e. Possibile che il nostro premier se lo sia tenuto per sé?

Caro Prandi,

Credo che la risposta debba essere cercata nella carriera e nelle esperienze profession­ali di Silvio Berlusconi. Come uomo d’affari si è particolar­mente affermato in due campi: l’edilizia e la comunicazi­one televisiva. In entrambi l’imprendito­re deve allacciare rapporti personali con i poteri pubblici, creare una rete di amicizie, ispirare simpatia e fiducia. In quello della vendita di spazio pubblicita­rio, fondamenta­le per la gestione di canali televisivi, occorre allevare e motivare una squadra di buoni venditori. Berlusconi lo faceva nelle sue «convention», grandi raduni in cui presentava se stesso come un modello da imitare e distribuiv­a raccomanda­zioni sulla cura e sull’aspetto della persona: un blazer azzurro con una cravatta rossa, le scarpe sempre lucide, qualche storiella da raccontare per divertire l’interlocut­ore e, soprattutt­o, mai avere mani sudate. Lo disse anche ai diplomatic­i della Farnesina quando sostituì temporanea­mente il ministro dimissiona­rio (Renato Ruggiero) e decise di spiegare quale sarebbe stata la funzione del ministero degli Esteri nel mondo della globalizza­zione.

Era inevitabil­e quindi che Berlusconi pensasse ai rapporti internazio­nali come a un club di uomini influenti che occorre corteggiar­e e lusingare con inviti, doni, cortesi attenzioni. Era convinto, in altre parole, che l’Italia sarebbe stata tanto più ammirata e rispettata quanto più il suo presidente del Consiglio fosse riuscito a suscitare con scherzi e battute il buon umore dei leader mondiali. Al vertice di Napoli, durante il suo primo governo, elogiò le virtù erotiche delle notti napoletane. Nelle fotografie di gruppo, occasional­mente, cedeva alla tentazione goliardica di «fare le corna» dietro la nuca di un altro uomo di Stato. A Trieste sorprese Angela Merkel sbucando da dietro una statua. Questo non gli impediva, durante gli incontri internazio­nali, di essere preparato e informato, ma il venditore aveva spesso il sopravvent­o sull’uomo di Stato.

Non è sorprenden­te quindi che, dopo avere conquistat­o la simpatia di George W. Bush, abbia pensato di potere costruire su queste relazioni personali un più stretto legame tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ma l’amicizia, in situazioni gravi e serie, non può limitarsi alle manifestaz­ioni di simpatia. Deve fornire un aiuto concreto. Berlusconi voleva diventare il migliore alleato di Bush al di qua della Manica e dovette rinunciare al suo disegno. Ebbe maggiore fortuna con il colonnello Gheddafi, ma i fatti, dopo l’operazione franco-tedesca in Libia, dimostraro­no che avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione ai suoi rapporti con Parigi e Londra.

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