IL MONDO DI BERLUSCONI DIPLOMAZIA DEGLI AFFARI
A proposito del sostegno alla linea Bush per la guerra all’Iraq del 2003, lei, rispondendo a un lettore, dice chiaro e tondo quale era il prezzo che il Regno Unito avrebbe pagato per vedersi garantito uno statuto particolare, diverso da quello di qualsiasi altro Stato occidentale: lealtà assoluta a Washington, «qualsiasi cosa accada», ebbe a dire Tony Blair. Non ci dice, però, quale sarebbe stato il tornaconto italiano nel caso in cui l’allora presidente del Consiglio Berlusconi fosse riuscito a dimostrare altrettanta lealtà inviando in Iraq un corpo combattente. Possibile che il nostro premier se lo sia tenuto per sé?
Caro Prandi,
Credo che la risposta debba essere cercata nella carriera e nelle esperienze professionali di Silvio Berlusconi. Come uomo d’affari si è particolarmente affermato in due campi: l’edilizia e la comunicazione televisiva. In entrambi l’imprenditore deve allacciare rapporti personali con i poteri pubblici, creare una rete di amicizie, ispirare simpatia e fiducia. In quello della vendita di spazio pubblicitario, fondamentale per la gestione di canali televisivi, occorre allevare e motivare una squadra di buoni venditori. Berlusconi lo faceva nelle sue «convention», grandi raduni in cui presentava se stesso come un modello da imitare e distribuiva raccomandazioni sulla cura e sull’aspetto della persona: un blazer azzurro con una cravatta rossa, le scarpe sempre lucide, qualche storiella da raccontare per divertire l’interlocutore e, soprattutto, mai avere mani sudate. Lo disse anche ai diplomatici della Farnesina quando sostituì temporaneamente il ministro dimissionario (Renato Ruggiero) e decise di spiegare quale sarebbe stata la funzione del ministero degli Esteri nel mondo della globalizzazione.
Era inevitabile quindi che Berlusconi pensasse ai rapporti internazionali come a un club di uomini influenti che occorre corteggiare e lusingare con inviti, doni, cortesi attenzioni. Era convinto, in altre parole, che l’Italia sarebbe stata tanto più ammirata e rispettata quanto più il suo presidente del Consiglio fosse riuscito a suscitare con scherzi e battute il buon umore dei leader mondiali. Al vertice di Napoli, durante il suo primo governo, elogiò le virtù erotiche delle notti napoletane. Nelle fotografie di gruppo, occasionalmente, cedeva alla tentazione goliardica di «fare le corna» dietro la nuca di un altro uomo di Stato. A Trieste sorprese Angela Merkel sbucando da dietro una statua. Questo non gli impediva, durante gli incontri internazionali, di essere preparato e informato, ma il venditore aveva spesso il sopravvento sull’uomo di Stato.
Non è sorprendente quindi che, dopo avere conquistato la simpatia di George W. Bush, abbia pensato di potere costruire su queste relazioni personali un più stretto legame tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ma l’amicizia, in situazioni gravi e serie, non può limitarsi alle manifestazioni di simpatia. Deve fornire un aiuto concreto. Berlusconi voleva diventare il migliore alleato di Bush al di qua della Manica e dovette rinunciare al suo disegno. Ebbe maggiore fortuna con il colonnello Gheddafi, ma i fatti, dopo l’operazione franco-tedesca in Libia, dimostrarono che avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione ai suoi rapporti con Parigi e Londra.