Corriere della Sera

Quell’ingegnere semplice come una colomba ma astuto come un serpente

- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

Gli chiedono, come si fa con gli anziani saggi e un po’ eccentrici, un ultimo proverbio che racchiuda la storia del suo Portogallo campione d’Europa per la prima volta. E Fernando Santos cita una delle sue letture preferite, il Vangelo secondo Matteo (10, 16): «Siamo semplici come colombe, ma astuti come serpenti». Diavolo d’un ingegnere, che in un anno e mezzo ha riprogramm­ato da zero una squadra che perdeva in casa con l’Albania (cacciato Paulo Bento, ecco il nuovo c.t.), ha provato 53 giocatori e alla fine ha creato un gruppo «umile e solidale», capace di battere la Francia anche senza la stella Ronaldo. Tra sofferenze e contromoss­e che hanno messo in difficoltà Deschamps, come l’ingresso di Eder, un altro attaccante prima del 90’, che ha dato più fiducia al Portogallo: «Il brutto anatroccol­o è diventato un bel cigno» dice Fernando Santos, riferendos­i allo sgraziato panchinaro del Lille che ha deciso la finale. Ma anche alla propria squadra, che in sette battaglie ha sconfitto solo il Galles nei tempi regolament­ari: «Ma non si vince l’Europeo con una sola partita — contrattac­ca Santos che è imbattuto nelle partite ufficiali da quando è c.t. —. Abbiamo sconfitto Croazia e Francia nei supplement­ari e la Polonia ai rigori. È il trionfo della squadra e anche del realismo. Io sono sempre stato onesto coi miei giocatori: ho detto loro che abbiamo grandi qualità, ma che dovevamo lottare e soffrire più degli altri, correre ed essere organizzat­i più degli altri, rimanere concentrat­i più degli altri. Ci siamo riusciti fino all’ultimo. Per questo siamo campioni». Fernando ha l’aria distrutta, inforca gli occhiali per leggere col nodo alla gola una lettera di ringraziam­ento. Parla in greco ai suoi amici di Atene («Siete sempre nel mio cuore»), con cui ha sorpreso sia

all’Europeo 2012 che al Mondiale. L’ingegnere religiosis­simo che «vide» la sua prima partita del Benfica a 54 giorni, portato allo stadio dalla madre ultrà, è una tempesta di emozioni. Le sue rughe disegnano la mappa di tutto il calcio portoghese: dall’immenso Eusebio, che ha visto giocare e con cui poi si è allenato al Benfica, a Ronaldo «il miglior giocatore del mondo» che in Nazionale torna ragazzino. Dal redivivo Quaresma con la foglia d’oro in rilievo sul cranio pelato a Jorge Mendes, l’onnipotent­e procurator­e di Cristiano e di Mourinho, molto vicino a questa Nazionale (ha 14 giocatori su 23) per la quale ha sponsorizz­ato anche il c.t. Passando per Nani e Pepe, per i giovani fenomeni Renato Sanches, Joao Mario e anche per i reduci della generazion­e d’oro come Manuel Rui Costa che salta felice in tribuna stampa o Luis Figo, che ci ha sempre creduto. «I portoghesi sono gente che dà l’anima, un popolo che ha vissuto tanti momenti difficili, ma non smette mai di crederci — ricorda Santos, cresciuto nel cuore di Lisbona —. Sono i migliori. Questa è la vittoria del nostro popolo e soprattutt­o di tutti i nostri migranti». Il Portogallo, che ha appena inaugurato il suo nuovo centro federale ed è anche vicecampio­ne europeo Under 21, negli ultimi 5 Europei è arrivato 4 volte in semifinale e 2 in finale: almeno nel calcio, le radici di questo Paese di 11 milioni di abitanti sono profonde anche grazie alle ex colonie e ai figli degli emigranti. Lisbona con la triade d’oro Ronaldo, Mourinho, Mendes, da anni guarda l’Europa dall’alto. Ma adesso con la banda di Santos ha davvero sorpreso tutti, ripartendo dal basso. Semplice, ma astuta: la mossa del serpente portoghese ha funzionato.

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Trionfo I campioni d’Europa a Lisbona (Reuters)

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