Vincitori e vinti Le lacrime inedite dei campioni
È stato un Europiagnisteo. Si è pianto di delusione (sul podio: Barzagli in diretta tv, Buffon in mezzo al campo, Conte in conferenza stampa, l’ultima), dolore, felicità. Poi è arrivato il fuoriclasse, Cristiano Ronaldo, e in finale, nel giro di 120’, ha fatto tutto lui: ha pianto per l’entrata assassina di Payet, ha pianto saltellando sul ginocchio bendato, ha pianto uscendo dal campo in barella, ha pianto al gol di Eder e quando ha sollevato la coppa per il Portogallo. Non è vero che gli uomini non cambiano. E non è vero che non piangono. A Bordeaux, dopo GermaniaItalia, hanno lacrimato molto di più i mariti in campo che le mogli in tribuna. Mettere in piazza la propria vita sui social, forse, nell’epoca della condivisione urbi et orbi,
autorizza anche gli sfoghi in pubblico. E non vale solo per i calciatori: LeBron James, abbracciato alla coppa del campionato Nba vinta con i Cavs, dopo gara 7 sembrava un bambino incapace di gestire le emozioni; Andy Murray, domenica sul centrale di Wimbledon, singhiozzava per la gioia di essersi ripreso il trofeo di Wimbledon. Roger Federer, il più grande, piange spesso: sia quando vince, che quando perde (Melbourne 2009, sconfitto da Nadal dopo una maratona di quasi cinque ore: «Così, tu mi uccidi...»). Pete Sampras crollò quando un tifoso gli ricordò il coach, malato di tumore.
In principio fu Franco Baresi. Mondiale ‘94, finale di Pasadena. La maschera del capitano appoggiata come un soprammobile sulla spalla di Sacchi è un’icona nella Spoonriver delle nostre lacrime. Ibra, Iniesta, Müller: gli uomini che una volta resistevano a lasciarsi andare, adesso piangono come vitelli senza ritegno. Un uomo che piange in mondovisione colpisce sempre. È meno scontato di una donna. E più vero di chi non deve chiedere mai.