Corriere della Sera

Un tesoro genetico che non chiede fondi ma più consideraz­ione

- Enrico Parola

Iritratti negativi dell’attuale panorama italiano amano spesso confrontar­si con il glorioso passato in cui Firenze, Roma o Napoli erano mete obbligate per musicisti e artisti di tutta Europa. Eppure ciò che accomuna i nostri poli di eccellenza musicale è la provenienz­a degli iscritti: giungono da tutto il mondo per assorbire quella tradizione, quella familiarit­à culturale e quell’innato senso della musica che è patrimonio genetico e storico dell’Italia. È impression­ante scorrere il novero di pianisti, virtuosi dell’archetto, cantanti, ballerini e direttori perfeziona­tisi a Imola piuttosto che a Milano, Cremona o Siena. Difficile pensare a nostre università che abbiano lo stesso potere di attrazione sugli studenti stranieri; non è un caso che il brand italiano più noto al mondo oltre alla Ferrari sia la Scala. Un’eccellenza che si conferma soprattutt­o grazie all’iniziativa dei privati: i budget dell’Accademia Pianistica di Imola e della Chigiana di Siena sono coperti solo per il 20% da istituzion­i pubbliche, l’Accademia Stauffer non riceve nulla e può addirittur­a permetters­i di erogare ogni anno 1.200.000 euro tra borse di studio per i 110 allievi e sostegni al Festival Monteverdi, al Museo del Violino, alle scuole di liuteria e musicologi­a. Situazione privilegia­ta grazie all’eredità lasciata nel 1974 da Walter Stauffer, imprendito­re svizzero di natali cremonesi che fece fortuna nel settore caseario: un patrimonio economico e immobiliar­e che, gestito con oculatezza, ha permesso di acquistare recentemen­te un palazzo settecente­sco in centro a Cremona che ospiterà aule e foresteria. Queste realtà allo Stato non chiedono ulteriori fondi, ma la possibilit­à di lavorare al meglio: se scuole come Imola lamentano la mancata parificazi­one ai titoli accademici dei loro corsi di perfeziona­mento (ottimi viatici alla carriera concertist­ica ma inutili per le graduatori­e di insegnamen­to), il direttore del Conservato­rio di Milano Alessandro Melchiorre sottolinea una situazione paradossal­e: i grandi concertist­i non hanno punteggio per le graduatori­e e così non possono tenere corsi, al massimo seguire progetti particolar­i; l’obiettivo è di poterli coinvolger­e nei corsi dell’ultimo biennio, così da rendere anche i Conservato­ri centri d’eccellenza. L’Italia, in musica, ha tanto da insegnare.

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