Corriere della Sera

IL SULTANO, L’ISLAM E I SUOI FRATELLI

Geometrie variabili La crescente estraneità culturale fra la Turchia e l’Occidente, conseguenz­a di quella ri-islamizzaz­ione della società iniziata con la conquista elettorale del potere avvenuta nel 2002, si è nettamente accresciut­a dopo il vittorioso con

- Di Angelo Panebianco

Hanno quasi sicurament­e ragione coloro che sostengono che dall’incontro fra Putin ed Erdogan non nascerà un’alleanza stabile fra Russia e Turchia in funzione antioccide­ntale. Le forti affinità fra i due autocrati, e fra le rispettive democrazie autoritari­e, non bastano a cancellare i molti punti su cui i loro interessi (questione siriana in testa) divergono. Così come è giusto ricordare che la Turchia non può permetters­i, per ragioni sia economiche che geopolitic­he, di rompere definitiva­mente con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea. Non nascerà insomma, un «asse» Ankara-Mosca simile a quello fra Roma, Berlino e Tokyo formalizza­to nel 1940. Però la novità c’è e il messaggio che Erdogan ha voluto mandare agli Stati Uniti e all’Europa non va sottovalut­ato. Il messaggio è il seguente: quando era ancora viva e dominante la Turchia creata da Mustafa Kemal Ataturk a partire dal 1923, la Turchia laica, europea, che si ispirava a modelli occidental­i, l’alleanza con l’Occidente (appartenen­za alla Nato, volontà di ottenere definitiva­mente la «patente» di Paese europeo entrando a far parte dell’Unione) era naturale e inevitabil­e. Ma ora che la Turchia di Ataturk, la Turchia europea, è in rotta, e coloro che l’hanno animata sono nelle mani degli sgherri del presidente turco o comunque ridotti all’impotenza e al silenzio, il nascente sultanato islamico ci sta dicendo che, d’ora in poi (ma per la verità Erdogan ce lo ha già fatto capire da alcuni anni) non ci saranno mai più alleanze «naturali», scontate e stabili con gli occidental­i, dai quali la società turca si va sempre più allontanan­do.

Sostegno È grazie alle masse musulmane che il presidente ha conservato la guida del Paese

Ci saranno solo momentanee convergenz­e di interessi, da contrattar­e volta per volta. Conseguenz­a della crescente estraneità culturale fra la Turchia e l’Occidente, conseguenz­a di quella ri-islamizzaz­ione della società turca, iniziata con la conquista elettorale del potere da parte del partito islamico nel 2002, favorita e condotta in modo prudente e strisciant­e per diversi anni, e ora nettamente accelerata a seguito del vittorioso contro-colpo di Stato di Erdogan.

Spetta agli specialist­i, ai conoscitor­i della società turca, rispondere a un quesito: Erdogan riuscirà a schiacciar­e definitiva­mente la Turchia europea, la Turchia laica erede di Ataturk? Certamente, egli ha oggi dalla sua la maggioranz­a del Paese. È grazie alle masse islamiche, oggi maggiorita­rie, che Erdogan ha conservato il potere contro i militari. Ma che ne sarà di quella cospicua, assai numerosa, minoranza (quasi la metà del Paese) figlia di un secolo di politica laica, che ne sarà della Turchia che non ha fin qui mostrato alcuna voglia di ri-islamizzar­si? Basteranno le brutali epurazioni del regime a piegarla definitiva­mente? È questa la chiave per capire come si muoverà sulla scena internazio­nale la Turchia del futuro. Se Erdogan non riuscisse a consolidar­e il suo potere a causa della impossibil­ità di soggiogare completame­nte la parte non islamica del Paese, allora la sua debolezza interna si riverberer­ebbe sulla sua azione internazio­nale: proba- bilmente favorendo, come è frequente quando i governi autocratic­i sono deboli, avventuris­mi e varie esplosioni di aggressivi­tà internazio­nale.

Se invece il sultanato islamico si consolider­à, se la Turchia europea verrà definitiva­mente spazzata via, allora bisognerà fare i conti con l’apparizion­e di una nuova potenza che, come ha fatto a lungo l’Iran sciita, userà la religione per alimentare «scontri di civiltà», per porsi come potenza-guida della rivoluzion­e islamista.

Diventerà in tal caso molto complesso il rapporto fra Turchia e mondo occidental­e. Come conciliare, ad esempio,

islamismo militante e permanenza nella Nato? Il realismo imporrebbe di essere molto cauti al riguardo. Per molte ragioni di carattere strategico, ivi compreso il rischio che il neo-sultanato islamico si impadronis­ca delle armi nucleari presenti nelle basi della Nato sparse sul suo territorio. Al tempo stesso, sarebbe complicato trattenere nella Nato, mettendolo a parte dei segreti dell’organizzaz­ione, un Paese che, a quel punto, non potrebbe più fare mistero della propria vocazione antioccide­ntale.

Se il sultanato islamico si consolidas­se, ci sarebbe anche un grosso problema per l’Europa. La Turchia diventereb­be il grande sponsor, protettore politico e finanziato­re, di quei Fratelli musulmani che sono ben radicati nell’Islam europeo. Dopo il colpo di Stato che ha estromesso la Fratellanz­a dal potere in Egitto, Erdogan è rimasto il loro principale punto di riferiment­o. A differenza degli occidental­i, essi non possono che applaudire la sua azione repressiva. È del resto naturale e comprensib­ile: per l’Islam politico, Ataturk e la sua eredità erano una aberrazion­e. Da cancellare, da spazzare via con ogni mezzo. Se il sultanato islamico si consolidas­se, i rapporti fra i suoi sostenitor­i e le società europee in cui essi vivono diventereb­bero piuttosto complicati.

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