Schwazer, 8 anni di squalifica
Respinto il ricorso dell’azzurro, la sua tesi viene smontata: si è dopato, carriera finita
RIO DE JANEIRO La lunga marcia finisce qui, sul lungomare scintillante di Copacabana dove Alex Schwazer si è allenato in mattinata, sotto la pioggia, inseguito da Sandro Donati in bicicletta e aggrappato alla certezza che il Tas lo avrebbe riammesso ai Giochi di Rio, che oggi avrebbe potuto indossare una maglia della nazionale italiana ed entrare in una stanzetta dedicata al villaggio olimpico, parte integrante della spedizione olimpica, di nuovo atleta e non più reietto. L’udienza fiume (9 ore) di lunedì, dopo due giorni di camera di consiglio ha prodotto il verdetto più scontato in presenza di positività al testosterone, e più amaro: otto anni di squalifica. La fine della carriera. La fine di tutti i sogni.
Il miracolo di ribaltare il risultato già scritto di una partita in trasferta, contro avversari enormi - la Iaaf con il direttore del suo laboratorio antidoping, Thomas Capdeville, presenza del tutto irrituale in una procedimento che di rituale non ha avuto nulla sin dall’inizio, a partire dallo spostamento dell’udienza da Losanna a Rio -, è
fallito. Le spiegazioni di coach Sandro Donati, argomentate con dati/tabelle/istogrammi relativi al monitoraggio antidoping a cui Alex è stato sottoposto ogni 15 giorni dall’anno scorso, non sono state accolte. La veemenza con cui sono state esposte, forse scambiate per la furia iconoclasta con cui questo professore di Monte Porzio Catone da tutta la vita sta cercando di combattere un sistema che è convinto sia malato nel midollo, respinte al mittente. La tesi della
Federatletica internazionale è accolta in toto: Alex Schwazer si è dopato per la seconda volta dopo la positività all’epo del 2012, nelle sue urine il primo gennaio scorso c’era il testosterone sintetico che gli costa otto anni di squalifica, la pena applicata di default a un recidivo. Le incongruenze sulla conservazione del campione, la comunicazione tardiva, l’accanimento con cui è stato esaminato più volte? Inesistenti. La tesi del complotto ipotizzata a gran voce da Donati
in questo ultimo, drammatico, mese? Fantasia.
La marcia s’interrompe, questa volta per sempre, nel luogo che più stride con la costernazione profonda della coppia di fatto Alex&Sandro, saldati dalle circostanze e abbattuti all’ultimo assalto alla diligenza. Dietro l’hotel Best Western dove si consuma la tragedia sportiva e umana di Schwazer e Donati, le mille luci del lungomare più glamour di Rio e dell’Olimpiade, il luogo dei tanga, delle infradito e delle caipirinhe. Dentro, nella stanzetta che atleta e allenatore dividono in questa trasferta per risparmiare le spese, solo rabbia, lacrime e tristezza. Se Alex, a 30 anni, può inventarsi un’esistenza tra Calice e Vipiteno, magari appoggiandosi all’affetto fresco per la nuova fidanzata, non c’è dubbio che Donati non si darà pace fino all’ultimo dei suoi giorni. Doveva finire sul traguardo dell’Olimpiade, magari già nella 20 km di marcia di sabato. E invece il sipario cala così, come una pietra tombale su questa storia travagliata e appassionante. Mai finita finché non sarà davvero finita.