Corriere della Sera

Toscani e l’elogio di Rocco: è un asino ma non fa i selfie

Il fotografo e il rapporto con l’animale che promuovere­bbe a suo assistente personale «È più intelligen­te di molti somari che si fanno il ritratto con me e lo mettono sui social»

- Di Gian Luigi Paracchini

In gioventù ha lavorato, ma senza esagerare. Poi il padrone di casa gli ha offerto un contratto di mascotte per i suoi nipoti e lui ha dato segni di assenso. Da quel momento si limita a tirare un carretto per gioco, mangiare mix di avena-orzo doc, ricambiare le carezze con qualche leccata.

L’asino Rocco, che ha 12 anni e se fosse un gatto sarebbe Silvestro per via delle macchie bianche su mantello nero, è un protagonis­ta della fauna che Oliviero Toscani, fotografo, creativo e comunicato­re di lungo corso, ha riunito nella sua tenuta a Casale Marittimo (Pisa) sulle colline tra Volterra e Bolgheri assieme a cavalli, galline, cani e anche maiali («che diventano prosciutti e salami ma dopo una vita da veri signori»).

Toscani ha stima e affetto smisurati per Rocco e, in generale, i suoi fratelli, non soltanto perché buoni (no, non da mangiare), simpatici e compagni di giochi, ma perché secondo lui simboli del nostro tempo nella diversa accezione asino/somaro. «L’asino è un grande lavoratore, si sacrifica, dà tutto, non tradisce, non ha grandi esigenze. Un tempo, prima dell’industrial­izzazione agricola, era perno fondamenta­le, umile ma prezioso per il contadino. Il paradosso è, guardando ai presuntuos­i umani di oggi, che purtroppo ci sono pochi asini e troppi somari: in politica, nelle aziende, in tv, in strada. La moda dei selfie per esempio è un Le virtù È un gran lavoratore, si sacrifica, dà tutto, non tradisce e non ha grandi esigenze

esercizio di stupidità assoluta. Rocco è mille volte più intelligen­te di quelli che mi chiedono un selfie per poi scaricarlo su qualche social forum».

È proprio parlando di fotografia che l’asino di casa Toscani potrebbe trovare un suo provocator­io ruolo come assistente del capo. «Sono spesso tentato di mettere due fotocamere, naturalmen­te leggere, alle orecchie di Rocco e portarlo in giro, magari in una grande città: sono convinto che uscirebber­o foto migliori di tante che si vedono in giro. È pazzesco, ormai sono tutti fotografi, perché scattare foto è più facile che leggere, scrivere, pensare, parlare con gli altri. Arrivano da me e: “Può guardare il mio book?”. Spesso roba in bianco/nero che fa più figo, genere artista, io mi metto a sghignazza­re e loro s’incazzano perché sono pure boriosi. Purtroppo la macchina fotografic­a ha capacità galvanizza­nti: fa sentire immensi anche i più sprovvedut­i dilettanti. Invece o sei un autore o non sei niente. Pensiamo alla matita: la gente normale se ne serve per segnare numeri di telefono mentre Einstein ci ha scritto la formula della relatività. Non so se mi spiego».

Insomma attraverso Rocco l’elogio dell’asino come riscatto di una lunga storia di lavoro indefesso, di disprezzo subito per il modo poco musicale di esprimersi, d’irrisione per quella caratteris­tica organolett­ica da superdotat­o ma certo non statuario. Il peggiore destino per Pinocchio e Lucignolo nel Paese dei Balocchi è essere trasformat­i in asinelli, L’abbraccio Oliviero Toscani con l’asino Rocco nella tenuta di Casale Marittimo (Pisa) sulle colline tra Volterra e Bolgheri. Per il fotografo, l’asino è un simbolo del nostro tempo nella diversa accezione asino/somaro. Oltre a Rocco, nella tenuta vivono cavalli, galline, cani e maiali nel recente passato la simbologia estrema per alunni mediocri era l’ultimo banco con le orecchie d’asino: poco importa che Poppea e Cleopatra facessero bagni nel latte d’asina per conservare la carnagione candida e compatta.

«E poi ci si meraviglia che l’asino tiri i calci, è il minimo! Il mio Rocco ha fatto la Dolce Vita ma anni fa non gli sarebbe andata così bene. Se un asino, eh-eh tanti asini scrivono!, avesse potuto firmare un trattato sull’essere umano sarebbe venuto fuori un capolavoro horror!».

Ma Oliviero Toscani a scuola è stato un asino (nel senso positivo del termine), quindi tutto lavoro e dedizione al diploma o un somaro? «Decisament­e un somaro. Alle elementari il maestro aveva consigliat­o mia mamma d’iscrivermi all’avviamento al lavoro. Il liceo invece l’ho trovato inutile e di noia mortale. Infatti al mattino invece d’andare a scuola spesso mi catapultav­o in uno di quei cinema che davano spettacoli per gente che bigiava. Io e tanti somari come me ci siamo formati di più con grandi film che sui libri di testo».

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