Messaggi audio così «parliamo» (ma in differita)
Itreni d’estate ci permettono di tenerci aggiornati, tra le altre cose, sulle italiche cafonerie. La nuova frontiera sono i messaggi vocali registrati e ascoltati con il viva voce — o comunque con il volume così alto che si sente la voce dall’altra parte dell’apparecchio. Apprezzabili soprattutto nelle tratte escluse dall’alta velocità, dove l’altoparlante non invita a tenere basso il volume dei cellulari oppure lo fa ma è così scassato che le parole friggono come uno sciame di mosche in padella e non si capisce nulla. Strano, eh. Si era dato per morto o quasi il telefono: «Con tutti questi messaggini non ci telefoneremo più, signora mia!», tuonava il nostalgico dei gettoni delle cabine telefoniche. I linguisti diagnosticavano disturbi logo-ortografici, chiamando «graforrea», cioè logorrea per tastiere, la mania di scrivere fiumi di parole con dentro detriti di italiano parlato male. Ma ora è tornato di moda parlarsi e, per pigrizia, abitudine o esibizionismo, che è il vero motore della società delle reti, lo si fa seguendo il format dei messaggi: botta e risposta, persino le risate, quell’orrido «ahahaha» che si scrive per simulare una risata, vengono registrate nei messaggi vocale, con effetto grottesco, perché in differita rispetto alla ricezione della battuta. A quanto le foto con le smorfie al posto delle faccine? Capita di sentire brandelli di voce suadente di ragazze che promettono sorprese all’arrivo a casa del ganzo seduto di fianco a voi, che si fa bello. O dialoghi familiari così urlati che sembra di sentire a pezzetti uno di quei dialoghi da pianerottolo condominiale. Già, perché la telemessaggeria funziona a blocchi di quattro. a) Registrare il messaggio b) Pausa, in cui l’interlocutore lo ascolta c) Altra pausa, in cui l’interlocutore registra il suo messaggio d) Ascolto del suo messaggio. Ma telefonarsi, no? Un tempo la telefonata allungava la vita, oggi una telefonata allunga la telefonata.