Il potere che si nasconde è un’insidia a due facce
La trasparenza politica è un bene fragile, come sottolineava Bobbio, anche perché ai segreti di Stato si aggiunge la minaccia occulta dei gruppi terroristici che agiscono nell’ombra
Secondo l’ideale democratico, lo Stato dovrebbe essere una «casa di vetro», priva di dinamiche politiche occulte: il regno del potere visibile, come ci ricorda Norberto Bobbio nel brano che riproponiamo in questa pagina, tratto da un saggio apparso nell’agosto 1980 sulla «Rivista Italiana di Scienza Politica». Gli atti dei governanti dovrebbero essere conformi alla legge e perfettamente trasparenti. I disaccordi fra cittadini andrebbero risolti tramite un confronto pacifico e aperto, imperniato — per dirla con Immanuel Kant — sulla «più inoffensiva di tutte le libertà, quella di fare un uso pubblico della ragione in tutti i campi».
Nel mondo reale le cose non stanno proprio così. Accanto al potere visibile operano ancora molti poteri nascosti (organizzazioni criminali, mafie, società segrete di varia natura). La democrazia continua ad essere minacciata da nemici interni ed esterni che spesso attentano alla sua sicurezza. Pensiamo al recente colpo di Stato in Turchia o ai feroci attacchi terroristici di matrice islamica che stanno insanguinando molte città europee.
Il fatto è che la pubblicità del potere, la trasparenza del governo, il rispetto della privacy e delle libertà individuali sono ideali molto esigenti: presuppongono una comunità politica composta da persone civili e «ragionevoli», nel senso kantiano. Negli ultimi due secoli, lo sviluppo delle istituzioni liberal-democratiche ha consentito all’Europa, al Nord-America e a poche altre regioni di fare molti passi sulla strada della ragionevolezza. Ma i nemici della democrazia non sono stati sconfitti. E oggi il fanatismo islamico ha lanciato alle nostre case di vetro sfide di una intensità e qualità storicamente inedite. Dobbiamo fronteggiare un insieme di arcana seditionis che intrecciano il versante interno con quello esterno e ci espongono a una vera e propria spirale di minacce invisibili, con effetti incalcolabili.
Come osservava Bobbio, il terrorismo è uno dei poteri occulti più temibili e ricorrenti nella storia. Il filosofo torinese era ovviamente preoccupato per gli estremismi che imperversavano negli anni Settanta. Ma, con il riferimento a Bakunin, coglieva perfettamente la natura del terrorismo novecentesco: una strategia di rovesciamento dell’ordine politico, tramite atti capaci di attivare «una dittatura anonima e collettiva di amici della liberazione, uniti in una società segreta e agenti per un fine comune».
Come il terrorismo tradizionale, il fanatismo islamico colpisce con attentati «esemplari», per generare paura e al tempo stesso reclutare nuovi adepti. Sfrutta a proprio vantaggio l’apertura delle nostre società, i limiti procedurali che imbrigliano i poteri pubblici visibili, compresi quelli preposti alla sicurezza. A differenza degli estremismi rivoluzionari o nazionalisti (come quello basco o irlandese), il terrore islamico non persegue riconoscibili obiettivi politici o territoriali, ma punta allo scontro di civiltà. Il jihad ha un fine «assoluto» (il trionfo della religione di Allah), tutti i mezzi sono leciti, indipendentemente dalle loro conseguenze, non c’è freno morale che tenga. Ogni aspetto, ogni occupante delle case di vetro in cui abitiamo può diventare un bersaglio esemplare: la redazione di un giornale, un sacerdote che celebra messa, un centro commerciale, i giovani che ballano in discoteca. Come difenderci? Nel breve periodo, l’unica arma è l’intelligence, il ricorso a un contro-potere nascosto. Riuscire a prevenire gli attacchi è un risultato importantissimo. Ma non è molto rassicurante. Spesso l’opinione pubblica non se ne accorge, e non può esserne neppure informata per non compromettere la segretezza delle operazioni.
Con lucidità anticipatrice, alla fine del suo ragionamento Bobbio evocava la minaccia del potere «onniveggente», basato sull’uso dei computer. Quell’incubo è diventato realtà in molti contesti. Pensiamo, di nuovo, all’ondata di epurazioni in Turchia dopo il fallito golpe. Un leader che credevamo al di sopra di soglie di decenza democratica — Erdogan — in realtà già disponeva di archivi informatizzati pronti ad essere usati a fini repressivi. Anche l’immaginazione più fervida