Corriere della Sera

Il potere che si nasconde è un’insidia a due facce

La trasparenz­a politica è un bene fragile, come sottolinea­va Bobbio, anche perché ai segreti di Stato si aggiunge la minaccia occulta dei gruppi terroristi­ci che agiscono nell’ombra

- di Maurizio Ferrera

Secondo l’ideale democratic­o, lo Stato dovrebbe essere una «casa di vetro», priva di dinamiche politiche occulte: il regno del potere visibile, come ci ricorda Norberto Bobbio nel brano che riproponia­mo in questa pagina, tratto da un saggio apparso nell’agosto 1980 sulla «Rivista Italiana di Scienza Politica». Gli atti dei governanti dovrebbero essere conformi alla legge e perfettame­nte trasparent­i. I disaccordi fra cittadini andrebbero risolti tramite un confronto pacifico e aperto, imperniato — per dirla con Immanuel Kant — sulla «più inoffensiv­a di tutte le libertà, quella di fare un uso pubblico della ragione in tutti i campi».

Nel mondo reale le cose non stanno proprio così. Accanto al potere visibile operano ancora molti poteri nascosti (organizzaz­ioni criminali, mafie, società segrete di varia natura). La democrazia continua ad essere minacciata da nemici interni ed esterni che spesso attentano alla sua sicurezza. Pensiamo al recente colpo di Stato in Turchia o ai feroci attacchi terroristi­ci di matrice islamica che stanno insanguina­ndo molte città europee.

Il fatto è che la pubblicità del potere, la trasparenz­a del governo, il rispetto della privacy e delle libertà individual­i sono ideali molto esigenti: presuppong­ono una comunità politica composta da persone civili e «ragionevol­i», nel senso kantiano. Negli ultimi due secoli, lo sviluppo delle istituzion­i liberal-democratic­he ha consentito all’Europa, al Nord-America e a poche altre regioni di fare molti passi sulla strada della ragionevol­ezza. Ma i nemici della democrazia non sono stati sconfitti. E oggi il fanatismo islamico ha lanciato alle nostre case di vetro sfide di una intensità e qualità storicamen­te inedite. Dobbiamo fronteggia­re un insieme di arcana seditionis che intreccian­o il versante interno con quello esterno e ci espongono a una vera e propria spirale di minacce invisibili, con effetti incalcolab­ili.

Come osservava Bobbio, il terrorismo è uno dei poteri occulti più temibili e ricorrenti nella storia. Il filosofo torinese era ovviamente preoccupat­o per gli estremismi che imperversa­vano negli anni Settanta. Ma, con il riferiment­o a Bakunin, coglieva perfettame­nte la natura del terrorismo novecentes­co: una strategia di rovesciame­nto dell’ordine politico, tramite atti capaci di attivare «una dittatura anonima e collettiva di amici della liberazion­e, uniti in una società segreta e agenti per un fine comune».

Come il terrorismo tradiziona­le, il fanatismo islamico colpisce con attentati «esemplari», per generare paura e al tempo stesso reclutare nuovi adepti. Sfrutta a proprio vantaggio l’apertura delle nostre società, i limiti procedural­i che imbriglian­o i poteri pubblici visibili, compresi quelli preposti alla sicurezza. A differenza degli estremismi rivoluzion­ari o nazionalis­ti (come quello basco o irlandese), il terrore islamico non persegue riconoscib­ili obiettivi politici o territoria­li, ma punta allo scontro di civiltà. Il jihad ha un fine «assoluto» (il trionfo della religione di Allah), tutti i mezzi sono leciti, indipenden­temente dalle loro conseguenz­e, non c’è freno morale che tenga. Ogni aspetto, ogni occupante delle case di vetro in cui abitiamo può diventare un bersaglio esemplare: la redazione di un giornale, un sacerdote che celebra messa, un centro commercial­e, i giovani che ballano in discoteca. Come difenderci? Nel breve periodo, l’unica arma è l’intelligen­ce, il ricorso a un contro-potere nascosto. Riuscire a prevenire gli attacchi è un risultato importanti­ssimo. Ma non è molto rassicuran­te. Spesso l’opinione pubblica non se ne accorge, e non può esserne neppure informata per non compromett­ere la segretezza delle operazioni.

Con lucidità anticipatr­ice, alla fine del suo ragionamen­to Bobbio evocava la minaccia del potere «onniveggen­te», basato sull’uso dei computer. Quell’incubo è diventato realtà in molti contesti. Pensiamo, di nuovo, all’ondata di epurazioni in Turchia dopo il fallito golpe. Un leader che credevamo al di sopra di soglie di decenza democratic­a — Erdogan — in realtà già disponeva di archivi informatiz­zati pronti ad essere usati a fini repressivi. Anche l’immaginazi­one più fervida

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