Pagani: per colpa di Trump torno a cantare dopo 13 anni
L’artista: «La musica di denuncia non deve per forza annoiare»
Pensi a Mauro Pagani. Alle sue cinquanta sfumature d’artista. Al cantautore amico fidato di Fabrizio De André. L’intellettuale che ha scritto colonne sonore, diretto festival e scritto romanzi. L’autore e arrangiatore più amato dai colleghi. Poi senti un brano come «The Big Man», che suona come un frullato di Depeche Mode e vecchia elettronica. Con un testo (in inglese) che spara sul «grande uomo» Donald Trump e fai fatica a credere che Pagani abbia deciso di battezzare con un brano così il suo ritorno alla canzone cantata dopo 13 anni. «La musica di denuncia non è per forza pallosa, l’intelligenza non deve annoiare: in giro vedo troppi dittatorelli o aspiranti tali. Non voglio che i miei figli crescano in un mondo privo di sensibilità» racconta.
«The Big Man» anticipa il nuovo album, in uscita in autunno, cui seguirà un tour nei Da Carla Fracci che ringrazia a Ornella Vanoni che chiama per protestare, da Anna Oxa che «si dissocia» alla criminologa Bruzzone che minaccia querela. Virginia Raffaele racconta la sua storia di «comicarola», cioè comica da cabaret, ripercorrendo quella dei suoi personaggi su Sette in edicola domani con il Corriere. La comica romana racconta anche l’infanzia da figlia di giostrai che a cinque anni lavorava, «non la cambierei per nulla», e gli aneddoti con Nanni Moretti: «A una cena mi massacrò di prese in giro. Lo rividi tempo dopo e pensavo non mi riconoscesse, lui “Che fai? Non saluti?”. Non credo mi chiamerà a lavorare» teatri. Il primo ascolto musicalmente lascia a bocca aperta. «Succede a noi musicisti di lungo corso. Nella mia carriera ho attraversato tutti i generi: classica, blues, funk, canzone d’autore: ora sentivo l’urgenza di dare una forma buffa, da ballo, a un tema che mi agita». Si apre una Moleskine: scorrono pensieri. «Lo tengo in tasca da sempre, prendo appunti. Mi sono accorto che ultimamente Trump e i suoi simili riempivano i miei incubi peggiori. Il mio avvocato ha dovuto smussare qualche concetto. Mi sono dovuto autocensurare».
Pagani appartiene alla generazione che più ha lottato per «The Big Man» è il singolo che anticipa il nuovo album in uscita il prossimo autunno imporre l’album come opera culturale ampia. «Invece oggi è tornata la fretta di buttar fuori singoli, canzonette una botta e via. Senza sbalzi di dinamica, sempre al massimo volume». Tempi duri... «Ma il flusso di intelligenza non si è fermato. È il sistema che taglia fuori tutto quello che non è nei canoni. La dimostrazione che si può avere profondità di pensiero e leggerezza d’espressione è Daniele Silvestri».
E così si riapre il capitolo di questa nuova generazione di cantautori incapaci di raccontare la realtà. Nessuno ha più il coraggio di fare musica contro. «I giovani hanno l’ansia di piacere, preferiscono omologarsi. Social network e moda dettano le leggi del branco. E per paura della solitudine tutti restano nel mucchio». Ma c’è qualcosa che Pagani gli invidia. «Le mille possibilità di nascere e diventare cittadini del mondo: per chi sa sfruttare la Sguardo Mauro Pagani, 70 anni, è nato a Chiari, in provincia di Brescia (foto Fenucci) propria creatività il trampolino è infinito. Ma devono tornare a sognare». Pagani lo dice con negli occhi la fame di chi è cresciuto all’ombra della provincia. «Non avevamo niente, per quello imparavamo a sognare: Lo stile Sentivo l’urgenza di dare una forma buffa a un tema che mi agita, ma mi sono autocensurato per fare “Crêuza de mä” con Faber viaggiavamo su libri e dischi, non potendolo fare davvero. Inventavamo suoni, era un’avventura. I giovani oggi hanno un catalogo di sogni preconfezionati, troppe soluzioni già pronte. Devono tornare a essere curiosi delle diversità».
Pagani, appena girata la boa dei 70 anni, è tornato a pubblicare un disco dopo 13 anni. «Non avevo smesso di scrivere, solo buttavo via troppe cose. Il difetto peggiore della vecchiaia: si diventa pignoli in modo pericoloso, eccessivamente critici. Le cose che ci vengono meglio le scartiamo perché ci annoiano. Viviamo con l’ansia di trovare nuove sfide». Sembra un’ammissione di colpa, invece no, perché questo disco è figlio del tempo passato. «Un greatest hits, ma di pezzi inediti: il meglio di questi anni di lavoro».