Corriere della Sera

Pagani: per colpa di Trump torno a cantare dopo 13 anni

L’artista: «La musica di denuncia non deve per forza annoiare»

- Stefano Landi

Pensi a Mauro Pagani. Alle sue cinquanta sfumature d’artista. Al cantautore amico fidato di Fabrizio De André. L’intellettu­ale che ha scritto colonne sonore, diretto festival e scritto romanzi. L’autore e arrangiato­re più amato dai colleghi. Poi senti un brano come «The Big Man», che suona come un frullato di Depeche Mode e vecchia elettronic­a. Con un testo (in inglese) che spara sul «grande uomo» Donald Trump e fai fatica a credere che Pagani abbia deciso di battezzare con un brano così il suo ritorno alla canzone cantata dopo 13 anni. «La musica di denuncia non è per forza pallosa, l’intelligen­za non deve annoiare: in giro vedo troppi dittatorel­li o aspiranti tali. Non voglio che i miei figli crescano in un mondo privo di sensibilit­à» racconta.

«The Big Man» anticipa il nuovo album, in uscita in autunno, cui seguirà un tour nei Da Carla Fracci che ringrazia a Ornella Vanoni che chiama per protestare, da Anna Oxa che «si dissocia» alla criminolog­a Bruzzone che minaccia querela. Virginia Raffaele racconta la sua storia di «comicarola», cioè comica da cabaret, ripercorre­ndo quella dei suoi personaggi su Sette in edicola domani con il Corriere. La comica romana racconta anche l’infanzia da figlia di giostrai che a cinque anni lavorava, «non la cambierei per nulla», e gli aneddoti con Nanni Moretti: «A una cena mi massacrò di prese in giro. Lo rividi tempo dopo e pensavo non mi riconosces­se, lui “Che fai? Non saluti?”. Non credo mi chiamerà a lavorare» teatri. Il primo ascolto musicalmen­te lascia a bocca aperta. «Succede a noi musicisti di lungo corso. Nella mia carriera ho attraversa­to tutti i generi: classica, blues, funk, canzone d’autore: ora sentivo l’urgenza di dare una forma buffa, da ballo, a un tema che mi agita». Si apre una Moleskine: scorrono pensieri. «Lo tengo in tasca da sempre, prendo appunti. Mi sono accorto che ultimament­e Trump e i suoi simili riempivano i miei incubi peggiori. Il mio avvocato ha dovuto smussare qualche concetto. Mi sono dovuto autocensur­are».

Pagani appartiene alla generazion­e che più ha lottato per «The Big Man» è il singolo che anticipa il nuovo album in uscita il prossimo autunno imporre l’album come opera culturale ampia. «Invece oggi è tornata la fretta di buttar fuori singoli, canzonette una botta e via. Senza sbalzi di dinamica, sempre al massimo volume». Tempi duri... «Ma il flusso di intelligen­za non si è fermato. È il sistema che taglia fuori tutto quello che non è nei canoni. La dimostrazi­one che si può avere profondità di pensiero e leggerezza d’espression­e è Daniele Silvestri».

E così si riapre il capitolo di questa nuova generazion­e di cantautori incapaci di raccontare la realtà. Nessuno ha più il coraggio di fare musica contro. «I giovani hanno l’ansia di piacere, preferisco­no omologarsi. Social network e moda dettano le leggi del branco. E per paura della solitudine tutti restano nel mucchio». Ma c’è qualcosa che Pagani gli invidia. «Le mille possibilit­à di nascere e diventare cittadini del mondo: per chi sa sfruttare la Sguardo Mauro Pagani, 70 anni, è nato a Chiari, in provincia di Brescia (foto Fenucci) propria creatività il trampolino è infinito. Ma devono tornare a sognare». Pagani lo dice con negli occhi la fame di chi è cresciuto all’ombra della provincia. «Non avevamo niente, per quello imparavamo a sognare: Lo stile Sentivo l’urgenza di dare una forma buffa a un tema che mi agita, ma mi sono autocensur­ato per fare “Crêuza de mä” con Faber viaggiavam­o su libri e dischi, non potendolo fare davvero. Inventavam­o suoni, era un’avventura. I giovani oggi hanno un catalogo di sogni preconfezi­onati, troppe soluzioni già pronte. Devono tornare a essere curiosi delle diversità».

Pagani, appena girata la boa dei 70 anni, è tornato a pubblicare un disco dopo 13 anni. «Non avevo smesso di scrivere, solo buttavo via troppe cose. Il difetto peggiore della vecchiaia: si diventa pignoli in modo pericoloso, eccessivam­ente critici. Le cose che ci vengono meglio le scartiamo perché ci annoiano. Viviamo con l’ansia di trovare nuove sfide». Sembra un’ammissione di colpa, invece no, perché questo disco è figlio del tempo passato. «Un greatest hits, ma di pezzi inediti: il meglio di questi anni di lavoro».

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