La lezione utile agli altri azzurri: odiare perdere
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
Secondo Bob Bowman, storico allenatore di Michael Phelps, il grande atleta non è quello che ama vincere ma quello che odia perdere. A questo concetto si può affiancare la famosa, e se ci pensiamo bene tremenda, teoria di André Agassi secondo cui il dolore per una sconfitta è incommensurabilmente più grande della gioia per una vittoria. Federica Pellegrini appartiene a questo genere di atleti. Per lei la vera scintilla per la gloria è il negativo da sfuggire; il successo è effimero, è il fallimento invece che resta sulla pelle come un tatuaggio per sempre, soprattutto quando si è convinti di avere fatto tutto quello che c’era da fare. A Londra Federica era arrivata fuori condizione e sapeva che sarebbe finita male. Qui è stato diverso, e perciò la sconfitta le risulta ancora più odiosa. Ecco dunque perché, superata la delusione, Fede sta già immaginando di ripartire. Non è detto che lo farà, perché un conto è dire, un conto è buttarsi davvero in una vasca e riprendere a macinare chilometri. E però — stabilito che continuare o ritirarsi sarebbero scelte di pari dignità — questo piccolo orgoglioso cambio di rotta in una sola notte racconta molto della testa della campionessa e delle ragioni per cui, al di là di un talento naturale unico, è diventata una delle più grandi atlete italiane di sempre. C’è poi, tra le pieghe di questa vicenda, un altro risvolto che riguarda tutta la Nazionale. A parte il gran bronzo di Gabriele Detti nei 400 stile e qualche lampo isolato, e in attesa di Paltrinieri che entrerà in scena domani nella batteria dei 1.500, non sta andando bene. In alcuni casi, anzi, sta andando malissimo. Una leggenda vivente come la Pellegrini che prova a rialzarsi in questo modo può essere un lezione per chi è venuto ai Giochi come in gita premio. Odiare perdere non contempla gite premio. Per questo è un sentimento — e una condanna — di pochi. Li chiamano campioni.