Corriere della Sera

Innocenti una vita col fucile in braccio Quando l’argento arriva dal lavoro

«Non sono ipocrita, dedico questa medaglia a me stesso: sono un uomo libero Prima della finale del double trap il pianto: «Non ha influito sul risultato»

- Marco Imarisio

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

La parola destino è spesso sopravvalu­tata. Ma insomma, gli indizi che portavano Marco Innocenti sopra un podio olimpico non erano pochi. Nel 1948 nonno Remo faceva il contadino nelle campagne di Montemurlo, in provincia di Prato, e non ne poteva più di vedere i cacciatori che gli attraversa­vano i campi. Un giorno decise di tirare fuori lo schioppo e di sfidarli e chi tirava meglio. Ne seguì l’apertura di una armeria, e tre figli che oggi l’hanno fatta diventare una delle più grandi d’Italia.

L’uomo che con la medaglia d’argento del double trap ha in parte salvato una giornata deludente per l’Italia ha cominciato a sparare all’età di 10 anni, ha avuto una sorella, e una cugina nella nazionale di tiro a volo. «Siamo la terza generazion­e. Nadia ed Elena mi hanno insegnato come si faceva. La nostra è una passione ma anche un lavoro di famiglia. Sono l’unico della spedizione italiana di tiro a volo che non appartiene ad alcun corpo dello Stato. Ma c’è un prezzo da pagare. Ci ho messo tanta passione per arrivare alla medaglia olimpica, ma lavorare e sparare rimanendo a livelli molto alti è molto difficile. È stressante, il doppio della fatica. Anche per questo non faccio l’ipocrita: dedico questo argento a me stesso. Finalmente sono un uomo libero».

La strada per Rio è stata lunga e accidentat­a. La divisione tra bottega e poligono ha spesso fatto sentire i suoi effetti negativi. Ad Atene e Pechino Marco non si qualificò per le finali, a Londra fece la riserva. Quest’anno è stato l’ultimo a mettersi in tasca la carta olimpica. Durante la finale, quando ha avuto la certezza della medaglia, è scoppiato in un pianto a dirotto. Singhiozza­va, Marco Innocenti, 38 anni e due figlie piccole. Non riusciva più a fermarsi. Smettila che hai il duello per l’oro, gli dicevano tutti, ma lui niente, come se la soglia fosse stata varcata, vada come deve andare, comunque ce l’ho fatta, finalmente. «Non credo che abbia inciso sull’esito dello spareggio. Ma dovete capirmi. Sapevo che questa è la mia ultima Olimpiade. Quando ho visto la medaglia sicura dopo vent’anni che la rincorrevo non ce l’ho più fatta. Tenete presente che vengo da un anno di alti e bassi, dove non trovavo continuità e tutto era ancora una volta in dubbio. Ma un mese fa a Baku ho perso la Coppa del mondo ai calci di rigore, diciamo così. E ho capito che forse il momento stava per arrivare, ma temevo di non arrivare in tempo, di farmelo sfuggire. Avevo paura di fallire anche stavolta, tanta paura”.

La sfida finale è andata a Fehayd Aldehani, miliardari­o con l’hobby delle armi che ha vinto la prima medaglia d’oro del suo Paese ma sotto la bandiera del Cio, perché il Kuwait è stato bandito dai Giochi olimpici per interferen­ze politica nell’attività sportiva, in pratica una corruzione sotto altro nome. Il vincitore non è esattament­e un beniamino dell’ambiente per via della sua tendenza a fare la prima donna. Ma a questo punto abbiamo capito che non importa. Per Marco Innocenti, uomo semplice, casa famiglia e lavo-

ro, senza alcun hobby che non sia la caccia con gli amici un paio di volte l’anno, contava il podio, togliersi la scimmia dalla spalla. Lo ha fatto nella peggior giornata possibile per un tiratore. Pioggia a dirotto, brezze violente, nuvole in viaggio. «È stato snervante. Ti alleni tutto l’anno, e poi becchi un tempo del genere nel momento più importante... Le condizioni erano tremende, non usciva un piattello uguale all’altro. Bisognava rincorrerl­i nel vento e nell’acqua. A un certo punto mi sono detto che non era più questione di sparare, ma di portare il fucile sul piattello. Credo di avercela fatta solo con la forza di volontà, non volevo rimandare ancora, mi dicevo che questo era il giorno».

Quando sale sul palco delle interviste ufficiali è un uomo pacificato, quasi con la testa altrove. La vita è più leggera. «Comincia un nuovo capitolo. Smetto per questioni di lavoro, e perché finalmente mi sono liberato dall’ossessione di una medaglia olimpica. Restituirò alla mia famiglia quello che ho avuto in termini di tempo e di sacrifici che hanno fatto per me. Adesso sono posto con me stesso». Marco Innocenti aveva un appuntamen­to con il destino. Ha sparato nell’acqua e nel vento. E questa volta è arrivato in tempo.

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