I due azzurri di boxe e scherma contestano il verdetto che li elimina
Russo e Montano, sinfonia anti Russia
Tre minuti. A volte bastano per scrivere un romanzo. Tre minuti. È il primo round del quarto di finale olimpico dei pesi massimi. Clemente Russo, quarta olimpiade, due argenti, contro Euvgeni Tischenko, il russo campione del mondo in carica. Tre minuti. La prima ripresa è decisiva, se la vinci, il match è tuo. Clemente Russo la vince, lo hanno visto tutti, persino i colleghi russi, ma non i tre giudici che danno la vittoria al pugile del Krasnodar. Clemente lo sa, l’allenatore Damiani glielo dice. E il match finisce lì. Anzi, se sei seduto a quell’angolo, pensi che il match sia finito ancora prima di cominciare. E comincia il romanzo.
Prefazione di Francesco Damiani: «Un furto, forse non grave come quello subito da Cammarelle a Londra, ma poco ci manca. Non ce la faccio più con questa Aiba, coi dilettanti chiudo qui. Non si possono leggere i verdetti in base al peso politico di un Paese». La Russia, appunto. Basta cambiare padiglione del complesso olimpico Riocentro, per ascoltare la stessa sinfonia. Russa pure quella. Protagonista Giovanni Sirovich, d.t. della sciabola dove Montano è stato fatto fuori agli ottavi: «Perdere con Kovalev ci sta, l’avevamo messo in conto, siamo all’Olimpiade. La cosa bella era giocarsela. Aldo che si è allenato a due giorni dall’operazione è stato un eroe. Poi ti viene il dubbio che se ce l’avessero fatta giocare fino in fondo, chi lo sa... Da anni è così…». Da anni è così, che cosa? «Sia chiaro, non siamo le vittime di nulla: però il presidente internazionale è un russo». Per Clemente la politica c’entra eccome: «Forse bisogna cambiare qualcosa alla radice. I giudici sono esseri umani. Io non mi fermo però. Faccio le ferie poi qualcosa in tv far schiattare d’invidia chi mi detesta. E poi posso anche puntare a Tokio. A 38 anni, io questo sport lo amo ancora come un bambino». Il romanzo aspetta un nuovo capitolo. Sperando non in lingua russa.