Corriere della Sera

Il ritorno di Silvia Lascia Economia per salvare la valle

È tornata sull’Appennino emiliano ad allevare maiali: un segnale per i giovani

- di Giangiacom­o Schiavi a pagina 24

Nel paesino dove ci si conta sulle dita di una mano, Silvia Lupi è una speranza da coltivare come la terra, il segno che la fuga verso la città non è la strada obbligata per chi nasce tra le nuvole e il cielo dell’Appennino. La trovi sul trattore, sulla mietitrebb­ia, nella stalla, nel recinto dei maiali, non vive di sogni o di illusioni bucoliche, ha messo in conto fatica, rinunce, isolamento per salvare il salvabile di un lavoro dove non si contano le ore, ma le giornate. Se non ci fosse lei, Metteglia, mille metri di quota dove l’Emilia è quasi Liguria, sarebbe un luogo fantasma, condannato allo zero demografic­o.

Doveva andare in banca, studiare Economia, lasciare la terra dove sono invecchiat­i i nonni e i genitori, perché in alta Valtrebbia, le dicevano, è impossibil­e una vita normale senza asili, scuole, negozi, parroci, osterie, con la posta che arriva quando arriva, la banda larga inesistent­e, l’ospedale più vicino, a Bobbio, senza il pronto soccorso, così quando ti scotti un dito chiamano l’elicottero (è successo due settimane fa) e ti portano a Parma. Invece Silvia Lupi, 31 anni, ha rovesciato le priorità e ha scelto la montagna, «un po’ per amore », dice «e un po’ per passione, perché credo che il tempo dell’agricoltur­a in montagna non sia finito. Bisogna cambiare passo, fare cose nuove, trovare alleanze, recuperare il valore del prodotto di qualità e non puntare sul prezzo del latte che oggi è una presa in giro...». Otto anni fa si è iscritta a un corso per imprendito­ri agricoli, poi ha pensato all’agriturism­o, alla fine ha fatto quel che Carlin Petrini e Slow food predicano da anni: ha creato una filiera corta, confeziona­ndo lei stessa il prodotto lavorato evitando la miriade di passaggi che non dà niente a chi produce. Salumi, che qui hanno una storia e una fama. Come la coppa, tradizione piacentina. E quindi maiali, stabulazio­ne libera e cibo naturale. «Nei campi frumento e orzo, ma i terreni sono predispost­i al pascolo e vorrei tornassero le razze autoctone che stanno scomparend­o», spiega.

L’agricoltur­a biologica offre opportunit­à nuove, ma quel che serve oggi è rompere l’isolamento, creare una rete sociale che riporti qui altri giovani. Questa è una valle in abbandono dove i sindaci vengono eletti come i capiclasse a scuola: una manciata di voti. Silvia ha trovato una sponda in don Ezio Molinari, il parroco che qualche anno fa lanciò l’appello per salvare le vecchie osterie e oggi si batte per non lasciare ai rovi i terreni intorno a Metteglia. «Vivere qui è difficile, quasi impossibil­e se non si sviluppa qualcosa di nuovo e non si rigenera il materiale umano. La scelta di Silvia è una spinta a non mollare, ma servono i servizi, la semplifica­zione burocratic­a, politiche che favoriscan­o nuove attività commercial­i». C’è anche un sindaco a pochi chilometri, Massimo Castelli, di Cerignale, che lancia proposte suggestive, come il giornale a domicilio affidato al postino per dare agli anziani un contatto con il mondo, o il drone per i servizi, come la spesa e i medicinali, o ancora la mucca in comproprie­tà, da affidare ai giovani delle cooperativ­e di comunità in cambio di qualcosa. «Bisogna farsi venire delle idee», dice Lorenzo Morelli, preside della facoltà di Agraria dell’Università Cattolica di Piacenza. I giovani che vogliono tornare alla terra ci sono, l’agroecolog­ia è una tentazione, ma le varie spin off trovano ostacoli nella frantumazi­one delle proprietà e nei regolament­i. A volte paradossal­i: gli stessi per un esercizio in via Montenapol­eone e per Metteglia.

Decisa a non mollare, Silvia? «Decisissim­a. Lavoro dalla mattina alla sera, ma sono felice. Se mi chiede quanto guadagno, non lo so: con la terra e la montagna non ci sono certezze. Vorrei mettere qualche punto fermo per il futuro dell’Appennino. In questi posti ci si sente come dei sopravviss­uti. La domenica mattina a messa ci si conta: sempre meno. Ma poi vado a casa e dico: abbiamo un paradiso, non si può mollare. Vuoi mettere la luna, vista da qui?».

Credo che il tempo dell’agricoltur­a in montagna non sia finito Bisogna cambiare passo, fare cose nuove, trovare alleanze

Lavoro da mattina a sera, ma sono felice Se mi chiede quanto guadagno, non lo so: con la terra e la montagna non ci sono certezze

In alta Val Trebbia ci si sente come dei sopravviss­uti. Ma abbiamo un paradiso, non si può mollare. Vuoi mettere la luna, vista da qui

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