«Giusto non personalizzare, ma se vince il No il premier lasci»
ROMA «Personalizzare il referendum è stato un errore clamoroso. Dunque bene ha fatto il premier Matteo Renzi a fare un passo indietro con l’onestà intellettuale di chi riconosce di aver commesso un errore clamoroso». Enrico Zanetti, vice ministro dell’Economia e leader di un nuovo contenitore moderato assieme al leader di Ala Denis Verdini, elogia il nuovo atteggiamento del premier Matteo Renzi e prova a tracciare una road map in caso di eventuale vittoria del Sì al referendum.
Zanetti, perché il presidente del Consiglio avrebbe commesso un errore clamoroso?
«Il motivo è evidente: non perché ciò possa costituire una retromarcia dal coraggioso “se perdo mi dimetto” — anche perché non potrebbe essere altrimenti a prescindere da qualsiasi personalizzazione, come dimostrato da Cameron con Brexit — ma perché con la personalizzazione il meccanismo referendario avrebbe determinato la saldatura tra tutte le forze del No, interne ed esterne alla maggioranza, tale per cui la sommatoria avrebbe avuto come sbocco finale il fallimento delle riforme. Ovvio dunque che di fronte a questa chiara e netta retromarcia bisogna dire con chiarezza due cose».
Quali?
«Prima: le varie opposizioni non hanno più alibi e sarebbe opportuno che si concentrino sul merito del No. Seconda: nell’istante in cui vincerà il Sì non si potrà considerare un successo personale di Renzi».
Oltre al premier e al Pd chi potrà intestarsi il successo?
«Quella parte di elettorato moderato che già nel 2006 votò a favore di un cambiamento della Costituzione in molti punti assai simile a quella che stiamo proponendo oggi. Questo fronte moderato voterà di nuovo Sì in questo 2016».
All’indomani del referendum — come forza di governo — chiederete un cambio di passo all’esecutivo?
«Credo che il Paese, anche alla luce dei cicli economici che rimangono complicati, non abbia bisogno nel 2017 di un governo che rallenti ulteriormente la sua azione e si perda nelle tattiche elettorali in tante sue componenti che non sono convinte dell’azione politica. Servirà un governo che accelera e torna su quei ritmi incalzanti che ne hanno caratterizzato il primo anno e mezzo di vita».
In questo quadro sembra che evochi la parola rimpasto.
«Un rimpasto fine a se stesso non serve a nulla, ma servirà innanzitutto fare il punto su chi ha una prospettiva politica e chi no».
Ovvero?
«Dobbiamo sederci attorno a un tavolo e stendere idee chiare sul programma da attuare nei prossimi 15 mesi. Ad esempio, è necessario scrivere 4-5 proposte da attuare sul versante economico».
E dopo la stesura di una agenda comune si potrà mettere mano alla squadra di governo?
«Se per fare i 4-5 punti del programma risultasse utile anche un cambiamento della squadra la decisione spetterà al presidente del consiglio. Ripeto che però il punto non è questo, ma la risoluzione degli equivoci politici. Ce ne erano in casa nostra, ce ne sono in Area popolare, e ce ne sono anche all’interno del Partito democratico».
Il rimpasto fine a se stesso non serve, ma si dovrà individuare alcune proposte da portare avanti. E se per attuare questi punti servisse un cambio di squadra sarà il capo del governo a decidere
In caso di vittoria del No, invece, cosa succederebbe?
«Il No coinciderebbe con il fallimento della legislatura. E avrebbe un effetto disastroso sul 2017, anche dal punto di vista economico».
Lei che è al governo con Renzi ma si definisce «moderato», cosa ne pensa della Costituente proposta da Stefano Parisi, indicato da Silvio Berlusconi come guida del centrodestra?
«Mi sembra un tentativo apprezzabile di quadrare un cerchio che parte dell’evidente imbarazzo rispetto a un No che non è affatto convinto».