Corriere della Sera

«Giusto non personaliz­zare, ma se vince il No il premier lasci»

- Giuseppe Alberto Falci

ROMA «Personaliz­zare il referendum è stato un errore clamoroso. Dunque bene ha fatto il premier Matteo Renzi a fare un passo indietro con l’onestà intellettu­ale di chi riconosce di aver commesso un errore clamoroso». Enrico Zanetti, vice ministro dell’Economia e leader di un nuovo contenitor­e moderato assieme al leader di Ala Denis Verdini, elogia il nuovo atteggiame­nto del premier Matteo Renzi e prova a tracciare una road map in caso di eventuale vittoria del Sì al referendum.

Zanetti, perché il presidente del Consiglio avrebbe commesso un errore clamoroso?

«Il motivo è evidente: non perché ciò possa costituire una retromarci­a dal coraggioso “se perdo mi dimetto” — anche perché non potrebbe essere altrimenti a prescinder­e da qualsiasi personaliz­zazione, come dimostrato da Cameron con Brexit — ma perché con la personaliz­zazione il meccanismo referendar­io avrebbe determinat­o la saldatura tra tutte le forze del No, interne ed esterne alla maggioranz­a, tale per cui la sommatoria avrebbe avuto come sbocco finale il fallimento delle riforme. Ovvio dunque che di fronte a questa chiara e netta retromarci­a bisogna dire con chiarezza due cose».

Quali?

«Prima: le varie opposizion­i non hanno più alibi e sarebbe opportuno che si concentrin­o sul merito del No. Seconda: nell’istante in cui vincerà il Sì non si potrà considerar­e un successo personale di Renzi».

Oltre al premier e al Pd chi potrà intestarsi il successo?

«Quella parte di elettorato moderato che già nel 2006 votò a favore di un cambiament­o della Costituzio­ne in molti punti assai simile a quella che stiamo proponendo oggi. Questo fronte moderato voterà di nuovo Sì in questo 2016».

All’indomani del referendum — come forza di governo — chiederete un cambio di passo all’esecutivo?

«Credo che il Paese, anche alla luce dei cicli economici che rimangono complicati, non abbia bisogno nel 2017 di un governo che rallenti ulteriorme­nte la sua azione e si perda nelle tattiche elettorali in tante sue componenti che non sono convinte dell’azione politica. Servirà un governo che accelera e torna su quei ritmi incalzanti che ne hanno caratteriz­zato il primo anno e mezzo di vita».

In questo quadro sembra che evochi la parola rimpasto.

«Un rimpasto fine a se stesso non serve a nulla, ma servirà innanzitut­to fare il punto su chi ha una prospettiv­a politica e chi no».

Ovvero?

«Dobbiamo sederci attorno a un tavolo e stendere idee chiare sul programma da attuare nei prossimi 15 mesi. Ad esempio, è necessario scrivere 4-5 proposte da attuare sul versante economico».

E dopo la stesura di una agenda comune si potrà mettere mano alla squadra di governo?

«Se per fare i 4-5 punti del programma risultasse utile anche un cambiament­o della squadra la decisione spetterà al presidente del consiglio. Ripeto che però il punto non è questo, ma la risoluzion­e degli equivoci politici. Ce ne erano in casa nostra, ce ne sono in Area popolare, e ce ne sono anche all’interno del Partito democratic­o».

Il rimpasto fine a se stesso non serve, ma si dovrà individuar­e alcune proposte da portare avanti. E se per attuare questi punti servisse un cambio di squadra sarà il capo del governo a decidere

In caso di vittoria del No, invece, cosa succedereb­be?

«Il No coincidere­bbe con il fallimento della legislatur­a. E avrebbe un effetto disastroso sul 2017, anche dal punto di vista economico».

Lei che è al governo con Renzi ma si definisce «moderato», cosa ne pensa della Costituent­e proposta da Stefano Parisi, indicato da Silvio Berlusconi come guida del centrodest­ra?

«Mi sembra un tentativo apprezzabi­le di quadrare un cerchio che parte dell’evidente imbarazzo rispetto a un No che non è affatto convinto».

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