Corriere della Sera

«Non ho messo i mutandoni alle Kessler e vorrei più rispetto per chi è credente Bloccai Fo e non mi sono pentito Chi pensava avrebbe preso il Nobel?»

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L’intervista originale a Bernabei, disponibil­e sull’Archivio del Corriere. Con meno di 1 euro per il primo mese potrete avere accesso all’Archivio e ai contenuti online e ricevere ogni mattina la newsletter PrimaOra. Per abbonarsi basta andare su e cercare l’icona C+, che vedete qui sopra arrivai, alla fine del 1960, al potere c’erano vecchi gerarchi come Piccone Stella, che era stato direttore dell’informazio­ne sotto il fascismo, i tedeschi, Badoglio, il governo alleato, Parri, De Gasperi ed era ancora direttore del telegiorna­le e del giornale radio. E io per prima, cosa feci? Chiamai a dirigere il tiggì Enzo Biagi, che era stato licenziato da Mondadori perché, si era permesso di attaccare Tambroni».

«La satira politica alla Rai entrò con me. Contro i dorotei, che non la volevano. Ma lei deve capire i tempi. Si camminava sulla lama del rasoio. E le assicuro che quello sketch non faceva ridere. C’erano stati degli scontri di piazza durissimi tra gli edili e la polizia. Erano giorni di tensione...».

Alta? Tornando a Fo...

«Altissima. E Fo faceva una scenetta con un imprendito­re edile che, mentre gli davano la notizia che un muratore era caduto da un’impalcatur­a ed era morto, pensava solo a un enorme brillante che regalava all’amichetta. Non faceva ridere per niente. Ed era, in quel momento, incandesce­nte. Gli chiedemmo di cambiarla, lui si impuntò: me ne vado. Gli dissi: vai».

Fatto sta che anche la censura a Lucio Battisti per «Dio mio no» fu fatta sotto di lei.

«Sinceramen­te non lo ricordo. Mi ricordo quella a Dalla per 4 marzo 1943».

La strofa «E ancora adesso Che rubo, bestemmio e bevo vino / per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino»?

«Gliela feci cambiare io, sì. Gli feci togliere “bestemmio” e altre cose. Era un’allegoria in cui un marinaio di passaggio era paragonato a San Giuseppe e la prostituta del porto alla Madonna. Capirà... Per la sensibilit­à dei cattolici...».

Insomma, lei sostiene che allora c’era attenzione e oggi no.

«Non dico che prima c’era la tivù buona e oggi la cattiva. No. È che la tivù ha preso questa posizione atea in linea col messaggio pubblicita­rio. Lo spettatore è un consumator­e cui dare ciò che si decide debba consumare. Senza rispetto per chi ha un’idea creazionis­ta della vita. Metà dell’umanità crede che il mondo sia stato creato, che lo chiami Dio o Allah o Jhavè, da questo Primo Motore Immobile. E a ciò rapporta la sua vita. Bene: la television­e è il primo mezzo di comunicazi­one, da tre o quattromil­a anni in qua, che prescinde da Dio. Sia nelle cose più profonde che in quelle più appariscen­ti e offensive ».

Vuol dire che tutte quelle tette e quei sederi in tivù...

«... danno molto fastidio a un credente. Molto. Pensi alla pubblicità di qualche aperitivo. Ma non è solo la pubblicità. È l’insieme. La violenza... Legga qui, Popper: “Il fatto che la gente si abitui a vedere violenza, che essa diventi il suo pane quotidiano distrugge la civiltà”. In television­e c’è troppa violenza. Troppo sesso e troppa violenza. Ha ragione Popper: la civiltà è messa in pericolo dalla television­e ».

A cosa pensa?

«Penso a certi programmi, per esempio, dove s’entra in tutti i modi dentro ai rapporti di coppia. In dieci minuti di zapping ne vedi di tutti i colori. Dai Sumeri in qua lo so anch’io che la gente s’è sempre accoppiata anche in modo strano, via! E la letteratur­a e il cinema avevano già indagato su certi rapporti adulterini o incestuosi».

C’erano dei limiti.

«Ecco. Rimanevano dei misteri. Come restava il mistero della morte. Un bambino diventava adulto vedendo morire i nonni o magari assistendo a una disgrazia o a un accoltella­mento, fo per dire. Ma erano eccezioni. Oggi un bambino vede dodici casi di violenza e tre morti al giorno. In ogni particolar­e: la sventaglia­ta di mitra che tira fuori le budella. Che idea vuole che si faccia della fine della vita?».

Sta dicendo che la tivu è una cosa troppo seria perché, se ne occupino gli atei?

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