Monsignore ucciso in seminario Il pm: «Processate don Piccoli»
Il giallo del 2014 a Trieste. Sangue del sospettato sotto il cadavere. Gli oggetti sacri spariti
Certo, quel don Piccoli è sempre stato un po’ strano. A Verona, la sua città d’origine, lo ricordano bene mentre girava vestito da sacerdote quando ancora non lo era. Chi l’ha conosciuto racconta la disperazione di suo padre quando scoprì i debiti enormi del figlio per comprare preziosi paramenti liturgici. Nell’Aquilano, dove è stato prete per 11 anni (a Pizzoli), don Paolo Piccoli è finito sotto accusa per un furto di oggetti sacri. E i parrocchiani ricordano le sue campagne contro i comunisti «che vogliono cacciarmi via», le liti pubbliche con i chierichetti, la battaglia legale per far suonare le sue campane più forte delle altre... Un tipo strano, appunto.
Ma stavolta la faccenda che
lo riguarda è molto più grave di tutte le precedenti messe assieme. Il nome di don Paolo Piccoli, 52 anni, ora è su un fascicolo penale per l’omicidio volontario aggravato di monsignor Giuseppe Rocco, ucciso nel suo alloggio alla Casa del Clero di Trieste il 25 aprile del 2014.
Monsignor Rocco aveva 92 anni, fisico gracile e poca agilità. È morto strangolato e chi l’ha ucciso — secondo la Procura di Trieste proprio don Piccoli — lo ha sopraffatto facilmente. «Io non c’entro nulla, non ho fatto niente» avrebbe ripetuto lui dopo aver saputo di essere stato inquisito. La sua versione, quindi, sarebbe quella della prima ora: l’assistente personale del monsignore Eleonora Dibitonto che scopre il cadavere e lui che arriva per dare la benedizione. Nient’altro. E invece il pubblico ministero Nicola Tripani è convinto che don Piccoli — ospite anche lui della Casa del Clero triestina dopo l’esperienza aquilana — quella mattina sia entrato nella stanza del monsignore di buon’ora, quando lui erano ancora vivo.
L’ipotesi ritenuta più verosimile è che i due abbiano litigato, magari proprio a proposito della denuncia che monsignor Rocco aveva presentato ai suoi superiori: qualcuno gli aveva rubato dalla stanza alcuni oggetti sacri (una madonna, un veliero e un cavallo, secondo Il Piccolo che ha rivelato le accuse contro don Paolo) e lui aveva scritto ai vertici ecclesiastici citando fra i possibili ladri proprio il suo vicino di stanza. La direzione del Seminario aveva così mandato a don Piccoli una lettera di richiamo e adesso quella lettera è diventato un possibile movente.
Ma più dell’ipotetico movente in questa storia pesano le sue tracce di sangue nell’alloggio della vittima. Erano sul lenzuolo ritrovato per terra, sotto il corpo di monsignor Rocco: «Soffro di una malattia cutanea che a volte indebolisce la cute e la fa sanguinare» si è giustificato lui, «forse ho perso quelle gocce mentre lo benedicevo».
In quanto alla personalità di don Piccoli molto spiegherebbero alcune testimonianze e intercettazioni telefoniche dalle quali si evincerebbe «un carattere e un modo di esprimersi decisamente poco adatti a un uomo di chiesa» rivela un investigatore. Fra i testimoni anche chi lo avrebbe visto la mattina del delitto «nei pressi» della stanza di monsignor Rocco.
Dopo l’omicidio don Piccoli è stato trasferito ad Albenga ma è lo stesso vescovo della
diocesi ligure, don Guglielmo Borghetti, a rivelare che «non è più qui da diversi mesi, è rientrato a casa dai suoi genitori. E, la prego, non mi faccia dire altro». Sul fronte giudiziario il passaggio decisivo di questa storia sarà il 13 dicembre prossimo, data fissata per l’udienza preliminare che deciderà se rinviarlo o meno a giudizio davanti alla Corte d’Assise.
E mentre a Trieste si gioca la partita giuridica del prete presunto assassino, a Verona ieri si è tornato a parlare di quell’aspirante sacerdote che tanti ricordano come «feticista di oggetti sacri» e che all’inizio degli anni Duemila, proprio dalla città scaligera, provò a muovere i primi passi da religioso. Inutilmente. Perché ci fu chi andò dal vescovo e riferì: i suoi comportamenti rivelano dubbi sulla sua tenuta psicologica, quell’uomo non può essere ordinato prete. E Verona gli negò il sacerdozio che poi avrebbe ottenuto all’Aquila.