LA POESIA NON ABITA PIÙ QUI
Canti, risate, pranzi collettivi. È sempre stato allegro il rito della vendemmia. Per secoli immutato, trasmetteva la felicità descritta da Ada Negri. Centinaia di versi e di romanzi hanno raccontato quei giorni così magici che anche la luna, ha scritto Cesare Pavese, sembra avere il «sapore della vendemmia». Poi c’è stato il «new deal» agricolo degli Anni 60. Nei campi sono state preferite le varietà che producevano maggiore quantità di uve, quasi sempre senza badare alla bontà del vino prodotto. Sono comparse le macchine vendemmiatrici, usate nelle vaste e squadrate superfici in pianura. Rombi di motore al posto dei canti. Hanno continuato la raccolta manuale i piccoli vignaioli e quelli che dopo la crisi del metanolo hanno puntato tutto sulla qualità. Pochi riescono però ad arrangiarsi in famiglia: tra i filari sono arrivate le coop di servizi (e i caporali). L’ultimo colpo al mito della vendemmia è burocratico. Vietato l’aiuto gratuito degli amici in vigna: si rischia una maxi multa. no dallo spiazzo (...). A rompere la mollezza dell’insieme stava, solo, su spalti di roccia, l’antico castello: puro trecento lombardo, con torri e mura merlate, e la sdegnosa malinconia delle dimore di feudatari! (...) Occupate a contemplar per ogni parte lo spettacolo che ci si offriva, non c’eravamo quasi accorte d’alcuni monelli, venuti a ruzzare sulla rotonda. (...). Correvano, veloci, intorno al monumento; ma a quattro gambe (...). Uno li precedeva: senza dubbio, il capo. Ad ogni ripresa, fischiava un comando da lacerar gli orecchi, e via: e gli altri a galoppargli dietro. (...) Il capitano s’era seduto su una panca di pietra. Soltanto
Stralcio del racconto dal titolo «Un ragazzo» pubblicato sul Corriere della Sera del 29 giugno 1935