La Grenot 8ª nei 400 «Titolo europeo e finale olimpica, non ho nulla da rimproverarmi»
semifinale di stanotte.
Altri fischi su Gatlin (perché lo stadio non se la prenda anche con il reprobo giamaicano Johan Blake resta un mistero), i soliti applausi per Bolt. Gli altoparlanti sparano musica reggae, lui accenna un passo di danza per non deludere le groupies. Il reggae di Bolt è la musica più simile al samba che i brasiliani abbiano mai sentito. In batteria, la nona, il Lampo corre come se fosse riscaldamento. 20’’28 (15° tempo), guardandosi in giro neanche fosse un turista in gita. Nella sua gara preferita ha promesso di più, il record: «Sento di poter correre in meno di 19 secondi. Dipende solo da me». Pare francamente troppo anche per questo
Grenot ottava
fenomeno quasi trentenne, che non si stanca mai di fare il bauscia.
L’Olimpiade è Bolt, sono le sue tre fatiche da Ercolino del nuovo millennio. È un’atletica totalmente Lampo-dipendente ma di qualità, capace di produrre belle finali (gli 800 del principe Rudisha su pista bagnata, 1’42’’15 tenendo a bada Algeria e Stati Uniti anziché i soliti keniani), record (lunedì è arrivato quello del martello della Wlodarczyk, in competizione con se stessa, capace di lanciare a 82,29 con la seconda, la cinese Zhang, staccata di quasi sei metri), prestazioni in controtendenza e di sostanza (l’asta all’enfant du pays su Lavillenie: il brasiliano Da Silva allenato dal maestro Petrov).
Cose per intenditori che non sempre il pubblico calcistico coglie. Fischierà o applaudirà l’unica russa in gara, la lunghista Darya Klishina prima ammessa, poi esclusa dalla Iaaf e infine riammessa dal Tas? Darya è bella, bionda, alta. Nel paese in cui l’estetica del corpo è tutto, un gran bel vantaggio sulle avversarie.