Corriere della Sera

La farfalla ha smesso di volare ai Giochi «Una maledizion­e questo risultato»

La mamma: «Vanessa, sono orgogliosa di te»

- Arianna Ravelli Aldo Cazzullo

Ieri c’era un piano per toccare il bronzo nella finale al corpo libero con il più alto tasso di difficoltà tecnica di sempre: migliorare l’esercizio della qualificaz­ione (14.800), con qualche piroetta artistica in più. «Aveva un esercizio da 15.100 o 15.200, fino all’ultima diagonale era in linea», racconta Casella.

Ma quella era una diagonale iniziata dieci anni fa. Era uno scricciolo scorbutico, molto più bambina che donna, saltava con la stessa potenza acrobatica che oggi ricorda Simone Biles. Si scoprì al mondo in un pomeriggio danese, ad Aarhus, strappò la medaglia nel concorso generale e la prima cosa che disse è «datemi un nuovo palazzetto». Arrivò il nuovo palazzetto, la ginnastica italiana diventò grande. «E ora dovrà imparare a fare a meno di Vanessa Ferrari». Lei rientrerà in palestra, da allenatric­e

CHERZI DEL CASO

probabilme­nte. Con Casella ne ha già parlato. «Decido quanto torno a casa», frena lei. Quando capirà quello che è diventata grazie alla ginnastica e quello che ha lasciato. C’è Simone pronto a prenderla tra le sue braccia da rugbista. C’è una vita intera, a 26 anni, da costruire. Ci sono tanti passi da fare in più e quelli non faranno male. Grecia è stordita e per segnare il primo gol, a metà del secondo tempo, deve sfruttare una doppia superiorit­à. Ma l’uomo in maschera Aicardi (foto) ritrova il triplo vantaggio e l’uno-due terrifican­te di Figlioli e Gitto, che infila il 6-2 tirando da Copacabana, fa capire ai greci che è finita. Nell’ultima frazione è passerella con Christian Presciutti, Aicardi e Figlioli. Poi, con la consapevol­ezza di «non avere fatto ancora niente», resta la soddisfazi­one di Campagna per DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

Vanessa Ferrari piange e parla. È uscita dalla palestra e vaga per il parco olimpico in cerca della mamma. Il suo allenatore, Enrico Casella, dice che è finita: questa Olimpiade è stata l’ultima. «Aspettate che sia lei a dirlo, ma ne abbiamo parlato: Vanessa si ritira». Lei assicura che deve ancora pensarci, che rifletterà in aereo, nelle dodici ore del volo per Roma che prenderà oggi pomeriggio. Ma la sensazione è quella del passo d’addio.

«Stavo peggio a Londra che non adesso. Là fu un’ingiustizi­a: avevo lo stesso punteggio della Mustafina, meritavo il bronzo anch’io. Qui è diverso. Certo che un altro quarto posto... è una specie di maledizion­e...almeno una medaglia...». Sarebbe stata la prima nella storia della ginnastica femminile; lei resta però la più grande ginnasta italiana di sempre. Campioness­a mondiale...«E campioness­a europea, non lo dimentichi. Due anni fa, a Sofia, la mia seconda patria. Vinsi davanti ai miei nonni Atanas e Nikolina. La mamma è bulgara. Gàlia, con l’accento sulla prima a. Certo, è qui. Papà si chiama Giovanni. C’è anche il mio fidanzato, Simone. Fa il rugbista, ha giocato in serie B, è amico di mio fratello Michele, che gioca pure lui a rugby. Ivan invece fa pugilato. Sono gemelli, ma sono diversi».

A novembre Vanessa Ferrari compirà ventisei anni, dieci più dell’inglese Amy Tinkler, terza, e della cinese Yan Wang, quinta; e da tutta la vita combatte con i tendini, oltre che con il quarto posto. Nel 2009 l’intervento al piede destro. «Ora dovrei farmi operare al sinistro. Questo, dove mi sono tatuata la farfalla. È un animale che adoro: quando la Mondadori mi ha proposto di scrivere un libro, insieme con Marco Archetti, uno scrittore che tira di boxe con mio fratello, ho voluto intitolarl­o “Effetto farfalla”. Ho tatuato anche i cinque cerchi olimpici, qui, sotto la nuca. Il simbolo del mio sogno».

«Quand’ero bambina, la mamma cercava in me una qualche forma di talento. Mi regalò tutte le cassette dello Zecchino d’oro; non le ho mai ascoltate. Mi Abbraccio Vanessa Ferrari e il c.t. Casella (Ansa) fece sentire la musica classica; da allora la detesto. Mi regalò la carta Fabriano e i pastelli a cera; ma non sapevo dipingere. Mi fece recitare, ma ero talmente incapace che mi diedero il ruolo di conigliett­o; dopo le proteste di mia madre fui promossa principess­a; sul saluto finale al pubblico inciampai nel vestito e rotolai sul palco». Qui finalmente il pianto di Vanessa si scioglie nel riso. «Mi iscrissero a un corso di danza: stavamo un’ora in cerchio a giocare con l’hula hoop in una sala tutta specchi; capii subito che non faceva per me. Un giorno, sdraiata sul divano, sono finita per caso su un canale tv che dava una gara di ginnastica. Avrò avuto 4 o 5 anni. C’era una ragazzina che volteggiav­a su una trave. Chiamai la mamma e le dissi che nella vita avrei fatto quella cosa lì».

La prima trave su cui si esercitò dava sulla porta del bagno: «Se sbagliavo l’uscita finivo nella toilette». Dalla trave cadde ai Mondiali 2007 e si ruppe un osso del piede. Ma il suo grande amore è sempre stato il corpo libero. «Ho imparato molto da un tecnico slovacco, Jan Zifkaf. Non sapeva bene l’italiano, La ginnasta rivela: «Ho tatuato anche i cinque cerchi olimpici, qui, sotto la nuca Il simbolo del mio sogno»

diceva strafalcio­ni che chiamavamo janate, ma di ginnastica sapeva tutto e aveva senso dell’umorismo: quando sbagliavo mi diceva che sembravo un pinguino nel deserto. Il mio vero maestro è stato Enrico Casella. Un tipo duro, a volte sbrigativo. Quando vide per la prima volta i miei genitori disse: «Bene, siete piccolini, la ragazza non dovrebbe diventare troppo alta». Poi cominciò a darmi colpi sulla pancia, sempre più forti, per saggiare la mia muscolatur­a. Non battei ciglio. Era un’iniziazion­e. I ritiri erano durissimi: mangiavamo nei piattini da dolci, per non ingrassare. Pure l’acqua era razionata: ci dicevano che faceva prendere peso».

Nel 2002, la prima vittoria: campionato italiano allievi. «Fu in quel periodo che cominciai a sentire un dolore al tendine d’Achille. Non mi ha più abbandonat­o. Cominciai a gareggiare bendata come una mummia. Operazioni, iniezioni, terapie. Non è mai guarito». Due ore prima della gara, a telecamere spente, le americane Simone Biles e Aly Raisman si riscaldava­no facendo salti da capogiro. Vanessa era in un angolo a fare stretching. Lei non può provare l’esercizio; deve badare a non consumarsi. «La Biles è forte, certo. È potente, esplosiva, e questo la aiuta. Agli attrezzi però non è perfetta».

Ecco la mamma, che la stringe in un abbraccio. Tutte e due scoppiano a piangere. La signora Gàlia le dice solo: «Sei stata bravissima. Sono, come sempre, molto orgogliosa di te». È il momento di lasciarle sole.

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