Corriere della Sera

Il patriarca Velasco continua a stupire «Ma non dirò mai che l’Italia vincerà»

Il grande ex c.t. guida la sorpresa Argentina: «Fatico a controllar­e le emozioni»

- Flavio Vanetti

terminabil­i chiacchier­ate nelle quali il volley era solo un pretesto per raccontare sia la gioia del successo («Ho scoperto che vincere è sempre bello») sia la cultura della sconfitta. O le sue esperienze dopo l’Italia, dall’allenare la Repubblica Ceca che al Mondiale 2002, per un disguido, lo lasciava giù dal pullman della squadra; o i tre anni in Spagna, oppure ancora l’esperienza in Iran, in un apostolato delle schiacciat­e che è anche servito a spiegare a un Paese non proprio elastico l’importanza di permettere alle donne di assistere alle partite degli uomini. Velasco non era mai stato capo-allenatore dell’Argentina: solo vicario, nella sua precedente vita sportiva, prima di scegliere l’Italia e di partire da Jesi per un viaggio da eternauta.

Oggi invece è lui a guidare l’assalto nei quarti di quei Giochi che gli hanno sempre negato il massimo traguardo. Però questo è un profilo del passato, particolar­mente legato ad Azzurra. Ora la sfida si chiama eliminare il Brasile, che ha vinto il barrage con i francesi e si piazza sulla strada del Divo Julio, accendendo il suo realismo: «Abbiamo vinto il girone e questo vale onore e orgoglio. Ma può essere che abbiamo trovato il nostro capolinea. In Argentina usiamo la parola «batacazo» per definire un cavallo che vince a sorpresa e sbanca le scommesse. Siamo al livello di un Iran o di un Canada, c’è chi è più forte di noi; ma se giocano male, noi dovremo approfitta­rne. La nostra missione è crederci fino in fondo: in questi due anni ho parlato di umiltà e fiducia, adesso è il tempo della fiducia».

Colpisce come Julio stia vivendo in maniera intensa questi giorni («L’emozione è perfino troppa. La devo controllar­e per essere lucido. Non sono più abituato alle bandiere e ai canti della tifoseria: meno male che non si suonano gli inni nazionali») e l’impegno che ci sta mettendo: «Aiutare la pallavolo argentina ad avere risultati importanti mi riempie di felicità. Mi mancava, questa sensazione. E mi godo i mesi che trascorro a Buenos Aires, frequentan­do gli amici. Per tornare avrei accettato perfino la selezione femminile, ma all’improvviso si è liberato il posto».

Incuriosis­ce come l’Italia stia ai margini dei suoi discorsi. Lo si provoca sul Maracanazi­nho e sull’impatto di rientrare nel palasport della gloria. Julio è furbo, aggira il tema, sa che le trappole delle frasi contengono agguati per l’anima: «Il 1990 L’allenatore azzurro Blengini è un po’ il mio figlioccio, è stato il mio secondo e sono orgoglioso della scelta

per me è un secolo fa…». Non passa. Non può bastare: Julio è anche Giulio e non può nasconders­i sugli azzurri, sulla Nazionale che fu sua. Non ci vuole molto a scioglierl­o. L’Italia, che se gli dei volessero (con una magia su entrambi i fronti), ritrovereb­be in finale, gli piace. «Mi ha colpito il suo sistema di gioco. Fino a quando non la incontrerò, farò il tifo. In più la allena Chicco Blengini: è stato mio secondo ed è un po’ un figlioccio. Sono orgoglioso della carriera che ho avuto. E come in tanti altri casi del passato, mi rende quasi più felice vedere quanta strada hanno fatto le persone che avevo scelto come assistenti». Non si può andare oltre, la domanda successiva è troppo impegnativ­a. Sarà la volta buona dell’Italia ai Giochi? «Non lo direi mai. Non sono superstizi­oso, ma penso che porti una sfiga pazzesca». Che il destino faccia il suo gioco. Suerte, Julio.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy