Corriere della Sera

Kleinbard: l’Europa vuole fare valere il suo modello

L’esperto fiscale Usa: è una visione più a lungo termine dell’economia dei propri Paesi

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Cupertino Il ceo di Apple, Tim Cook non obbligherà Apple a pagare le tasse nei Paesi europei dove guadagna — perché la Commission­e europea non ha competenza su questo — ma impone a Cupertino di restituire le tasse non pagate».

È proprio quello che dice la commissari­a alla Concorrenz­a, Margrethe Vestager.

«Ha ragione. I soldi devono arrivare da qualche parte. Per sostenere le spese dei governi serve il denaro che proviene dalle tasse: se non sono le aziende a pagare, pagano i cittadini».

Gli Stati Uniti hanno un atteggiame­nto ambiguo: da un lato, criticano la Ue; dall’altro

Il top manager alla guida della società di Cupertino ha sottolinea­to come la richiesta presentata dalla Ue ad Apple rischi di mettere a repentagli­o migliaia di posti di lavoro

in molti auspicano una riforma fiscale che obblighi le aziende come Apple a limitare i capitali offshore. Come lo spiega?

«Questa ambivalenz­a si chiama politica e molto spesso non viene condotta su basi logiche. In generale credo che i colossi tecnologic­i abbiano creato una situazione che ha dell’assurdo, con l’Europa che rivendica giustament­e un ritorno adeguato dei guadagni maturati in territorio Ue delle aziende americane, e gli Usa che sostengono di avere diritto a una parte consistent­e di quei capitali — un atteggiame­nto piuttosto prepotente. Se è vero come proporre di sostituire la normativa fiscale irlandese con quel che la Commission­e ritiene avrebbe dovuto essere tale normativa. Sarebbe un colpo devastante alla sovranità degli Stati membri in materia fiscale e al principio stesso della certezza del diritto in Europa. L’Irlanda ha dichiarato di voler ricorrere in Appello contro la decisione della Commission­e. Apple farà altrettant­o, e siamo fiduciosi che l’ordine della Commission­e verrà ribaltato. Il nocciolo della questione non è quante tasse debba pagare Apple, ma quale Paese debba riscuoterl­e. La tassazione delle aziende multinazio­nali è una materia complessa, ma tutto il mondo riconosce lo stesso principio fondamenta­le: i profitti di un’azienda devono essere tassati là dove l’azienda crea valore. Apple, l’Irlanda e gli Stati Uniti concordano su questo principio. Nel caso di Apple, quasi tutte le operazioni di ricerca e sviluppo si svolgono in California, quindi la stragrande maggioranz­a dei nostri profitti è tassata negli Stati Uniti. Le aziende europee che operano negli Usa sono tassate secondo lo stesso principio. Eppure, oggi la Commission­e sta chiedendo di modificare retroattiv­amente queste regole.

Oltre a evidenti ripercussi­oni per Apple, questa sentenza avrà effetti profondame­nte negativi sugli investimen­ti e sulla creazione di lavoro in Europa. Se valesse la teoria della Commission­e, qualsiasi azienda in Irlanda e in Europa correrebbe improvvisa­mente il rischio di vedersi tassata in base a leggi mai esistite. Apple è da tempo a favore di una riforma delle normative fiscali internazio­nali, con l’obiettivo di avere più semplicità e trasparenz­a. Riteniamo che questi cambiament­i dovrebbero essere introdotti nel rispetto delle procedure legislativ­e, a partire da proposte discusse dai leader e dai cittadini dei Paesi interessat­i. E come tutte le leggi, le nuove norme dovrebbero valere da quando entrano in vigore, non retroattiv­amente. Noi non rinunciamo al nostro impegno in Irlanda: vogliamo continuare a investire, a crescere e a servire i nostri clienti con passione immutata. Siamo fermamente convinti che i fatti e i consolidat­i principi giuridici su cui è fondata l’Unione Europea finiranno per prevalere». *Chief executive officer di Apple che in America c’è una cattiva tassazione, in Europa il problema riguarda l’assenza di regole».

Resta il fatto che in Europa non ci sono Apple, Facebook, Google.

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