Corriere della Sera

«Noi di Apple e le tasse All’Irlanda 400 milioni»

Il supermanag­er: la retroattiv­ità distrugge la certezza legale e gli investimen­ti

- Di Federico Fubini

«Siamo il più grande contribuen­te al mondo». Luca Maestri, il capo della finanza di Apple, avverte che il vero danno delle iniziative Ue sulle tasse di Cupertino è all’Europa stessa. «Molte aziende si chiedono come potranno gestire i rischi sul sistema fiscale europeo se non c’è certezza della legge».

Luca Maestri, 52 anni, romano, chief financial officer di Apple, è così determinan­te per l’azienda che l’anno scorso ha guadagnato più del doppio dell’amministra­tore delegato Tim Cook. Dimostra la sua incisività al telefono da Cupertino, descrivend­o come è stato avvertito negli Stati Uniti l’affondo sulle tasse che Apple deve pagare: «Un money grab, una sottrazion­e di denaro da parte dell’Unione Europea».

Il commissari­o Ue Margrethe Vestager dice che se lei pagasse lo 0,005% come aliquota sui redditi, come voi, magari darebbe una seconda occhiata alla dichiarazi­one.

«Già».

Che effetto le fa?

«Apple paga tasse in tutto il mondo, ne paga in tutti i Paesi nei quali vendiamo ai consumator­i e facciamo dei versamenti anche in Irlanda perché lì sono basate alcune attività di coordiname­nto in molti mercati in giro per il mondo. Poi paghiamo molto negli Stati Uniti, perché gli Stati Uniti hanno un sistema fiscale di portata globale. Non sono un sistema territoria­le come l’Italia. In sostanza, siamo il più grande contribuen­te al mondo, di gran lunga. Siamo il più grande contribuen­te negli Stati Uniti. E crediamo di essere il più grande contribuen­te in Irlanda. Ma questo dalla presentazi­one di Vestager non emerge».

Può essere più preciso?

«Lei parla di aliquote allo 0,005% nel 2014. Be’, nel 2014 Apple ha pagato in Irlanda 400 milioni di dollari. Crediamo sia il più grande versamento che qualunque impresa abbia fatto nel 2014 in Irlanda. Abbiamo pagato 400 milioni di dollari anche negli Stati Uniti, e abbiamo accantonat­o diversi miliardi per versamenti supplement­ari che faremo quando riporterem­o fondi in America. Ma per restare all’Irlanda: il nostro reddito lì è soggetto all’aliquota normale del Paese, il 12,5%, quella che vale per tutte le imprese».

La Commission­e Ue sostiene che godete di un cosiddetto «ruling», una condizione speciale ad hoc che vi permette di pagare meno. È così che arrivano allo 0,005%?

«Non so come ci arrivano, ma puoi immaginare o avvicinart­i a quel numero solo se ti disinteres­si completame­nte di come funziona la legislazio­ne fiscale in Irlanda e negli Stati Uniti. Lo puoi fare in modo intenziona­le, o perché non conosci, ma davvero devi disinteres­sarti completame­nte della realtà legale per tirar fuori quelle cifre».

Può essere più concreto?

«Vestager dice che quei profitti non vengono tassati da nessuna parte. Falso. Molti dei redditi che generiamo in giro per il mondo sono tassati negli Stati Uniti, a un’aliquota molto alta perché qui le aziende pagano il 35% e poi anche le tasse degli Stati. Si arriva vicini al 40%».

Se i redditi sono generati in Europa, perché versate le tasse negli Usa?

«Perché generiamo la nostra proprietà intellettu­ale qui in California: ricerca e sviluppo, design industrial­e, innovazion­e».

Lei dice: nel 2014 abbiamo versato 400 milioni negli Usa e 400 in Irlanda. Ma l’Irlanda è un’economia ottanta volte più piccola. Avete spostato lì i redditi dal resto d’Europa?

«Quando vendiamo i nostri prodotti in Francia, Italia o Spagna, paghiamo le imposte sui redditi in quei Paesi. Relative alle attività in quei Paesi, che sono essenzialm­ente di distribuzi­one e vendita dei nostri prodotti. Paghiamo altre tasse in Irlanda, perché lì abbiamo altre operazioni come gli approvvigi­onamenti, la logistica, la distribuzi­one, le gestione di domanda e offerta. Poi la gran parte delle imposte viene versata negli Usa».

La vera questione è il trasferime­nto di ricavi e base fiscale fra Paesi?

Primato Siamo il più grande contribuen­te al mondo e crediamo di essere il più grande contribuen­te in Irlanda. Ma questo dalla presentazi­one di Vestager non emerge

I rischi in Europa Ci sono aziende in Europa, negli Stati Uniti e in Asia che si chiedono come potranno gestire i rischi sul sistema fiscale nell’Unione Europea se non c’è certezza

«Penso che il caso della Commission­e sia proprio su questo. Non su quante tasse paga Apple, ma su dove dovrebbero essere pagate».

Non trova che su questo Bruxelles sollevi un punto legittimo?

«Noi solleviamo un punto molto semplice, sia sul livello dell’imposizion­e che sui Paesi dove si preleva. C’è chi dice che dovremmo pagare di più, chi dice di meno, chi dice tutto negli Stati Uniti e chi dice altrove. Sono problemi, credo, che vanno discussi come parte di un processo legislativ­o. L’aliquota va decisa all’interno di ciascun Paese europeo, fra i cittadini e il governo. Quanto a dove vanno pagate le imposte, ci sono già organismi internazio­nali che se ne occupano, l’Ocse e molte altre ottime iniziative. C’è modo di gestire queste cose nel processo legislativ­o. Noi aziende ci adatteremo».

Sta dicendo che siete aperti a discutere del «profit shifting», il trasferime­nto di redditi tra Paesi, ma che le norme Ue sugli aiuti di Stato non sono lo strumento giusto?

«Assolutame­nte sì. Sono discussion­i che è ragionevol­e avere e noi siamo favorevoli a un sistema fiscale semplice, lineare che sia pianamente allineato in giro per il mondo. Seguiremo questo sistema nella misura in cui sia l’esito di un processo legislativ­o. Ma non possiamo accettare questo tentativo di cambiare retroattiv­amente le leggi esistenti sempliceme­nte perché a qualcuno una certa legge in Irlanda non piace e l’avrebbe voluta diversa. Ciò elimina la certezza della legge ed è un enorme problema in Europa».

Saprà che la Commission­e Ue sugli aiuti di Stato ha poteri esecutivi.

«Come europeo mi dispiace moltissimo per quello che sta accadendo. A parte la nostra reputazion­e, che difenderem­o, il vero danno riguarda l’economia europea. Mi creda, in questo momento ci sono aziende in Europa, negli Stati Uniti, in Asia che si chiedono come potranno gestire i rischi sul sistema fiscale nell’Unione Europea, se non c’è certezza della legge. Sono rischi molti difficili da accettare, impossibil­i da gestire».

Almeno riconoscer­à che dall’Irlanda avete avuto un trattament­o di favore?

«Ci siamo stabiliti lì nel 1980. Nel 1991 e nel 2007 abbiamo chiesto alle autorità fiscali irlandesi di spiegare esattament­e come operare nel Paese e come pagare correttame­nte le tasse. È un procedimen­to normale che si segue specialmen­te quando la legislazio­ne cambia. Ma qualunque condizione fiscale a noi applicata, era disponibil­e anche per le altre aziende».

Non è strano che molti normali cittadini paghino aliquote più alte di Apple o Google?

«C’è una questione sulla tassazione delle imprese nel mondo. I sistemi non sono allineati a questo crea tensioni. Il nostro caso in Europa ne è l’esempio. Ma è anche vero che Apple è il più grande contribuen­te al mondo. Nel 2014 abbiamo riportato il 26,1% di tasse sui nostri ricavi e nel 2015 il 26,5%. Nel mondo delle imprese, queste aliquote sono piuttosto fra le più alte».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy