«Noi di Apple e le tasse All’Irlanda 400 milioni»
Il supermanager: la retroattività distrugge la certezza legale e gli investimenti
«Siamo il più grande contribuente al mondo». Luca Maestri, il capo della finanza di Apple, avverte che il vero danno delle iniziative Ue sulle tasse di Cupertino è all’Europa stessa. «Molte aziende si chiedono come potranno gestire i rischi sul sistema fiscale europeo se non c’è certezza della legge».
Luca Maestri, 52 anni, romano, chief financial officer di Apple, è così determinante per l’azienda che l’anno scorso ha guadagnato più del doppio dell’amministratore delegato Tim Cook. Dimostra la sua incisività al telefono da Cupertino, descrivendo come è stato avvertito negli Stati Uniti l’affondo sulle tasse che Apple deve pagare: «Un money grab, una sottrazione di denaro da parte dell’Unione Europea».
Il commissario Ue Margrethe Vestager dice che se lei pagasse lo 0,005% come aliquota sui redditi, come voi, magari darebbe una seconda occhiata alla dichiarazione.
«Già».
Che effetto le fa?
«Apple paga tasse in tutto il mondo, ne paga in tutti i Paesi nei quali vendiamo ai consumatori e facciamo dei versamenti anche in Irlanda perché lì sono basate alcune attività di coordinamento in molti mercati in giro per il mondo. Poi paghiamo molto negli Stati Uniti, perché gli Stati Uniti hanno un sistema fiscale di portata globale. Non sono un sistema territoriale come l’Italia. In sostanza, siamo il più grande contribuente al mondo, di gran lunga. Siamo il più grande contribuente negli Stati Uniti. E crediamo di essere il più grande contribuente in Irlanda. Ma questo dalla presentazione di Vestager non emerge».
Può essere più preciso?
«Lei parla di aliquote allo 0,005% nel 2014. Be’, nel 2014 Apple ha pagato in Irlanda 400 milioni di dollari. Crediamo sia il più grande versamento che qualunque impresa abbia fatto nel 2014 in Irlanda. Abbiamo pagato 400 milioni di dollari anche negli Stati Uniti, e abbiamo accantonato diversi miliardi per versamenti supplementari che faremo quando riporteremo fondi in America. Ma per restare all’Irlanda: il nostro reddito lì è soggetto all’aliquota normale del Paese, il 12,5%, quella che vale per tutte le imprese».
La Commissione Ue sostiene che godete di un cosiddetto «ruling», una condizione speciale ad hoc che vi permette di pagare meno. È così che arrivano allo 0,005%?
«Non so come ci arrivano, ma puoi immaginare o avvicinarti a quel numero solo se ti disinteressi completamente di come funziona la legislazione fiscale in Irlanda e negli Stati Uniti. Lo puoi fare in modo intenzionale, o perché non conosci, ma davvero devi disinteressarti completamente della realtà legale per tirar fuori quelle cifre».
Può essere più concreto?
«Vestager dice che quei profitti non vengono tassati da nessuna parte. Falso. Molti dei redditi che generiamo in giro per il mondo sono tassati negli Stati Uniti, a un’aliquota molto alta perché qui le aziende pagano il 35% e poi anche le tasse degli Stati. Si arriva vicini al 40%».
Se i redditi sono generati in Europa, perché versate le tasse negli Usa?
«Perché generiamo la nostra proprietà intellettuale qui in California: ricerca e sviluppo, design industriale, innovazione».
Lei dice: nel 2014 abbiamo versato 400 milioni negli Usa e 400 in Irlanda. Ma l’Irlanda è un’economia ottanta volte più piccola. Avete spostato lì i redditi dal resto d’Europa?
«Quando vendiamo i nostri prodotti in Francia, Italia o Spagna, paghiamo le imposte sui redditi in quei Paesi. Relative alle attività in quei Paesi, che sono essenzialmente di distribuzione e vendita dei nostri prodotti. Paghiamo altre tasse in Irlanda, perché lì abbiamo altre operazioni come gli approvvigionamenti, la logistica, la distribuzione, le gestione di domanda e offerta. Poi la gran parte delle imposte viene versata negli Usa».
La vera questione è il trasferimento di ricavi e base fiscale fra Paesi?
Primato Siamo il più grande contribuente al mondo e crediamo di essere il più grande contribuente in Irlanda. Ma questo dalla presentazione di Vestager non emerge
I rischi in Europa Ci sono aziende in Europa, negli Stati Uniti e in Asia che si chiedono come potranno gestire i rischi sul sistema fiscale nell’Unione Europea se non c’è certezza
«Penso che il caso della Commissione sia proprio su questo. Non su quante tasse paga Apple, ma su dove dovrebbero essere pagate».
Non trova che su questo Bruxelles sollevi un punto legittimo?
«Noi solleviamo un punto molto semplice, sia sul livello dell’imposizione che sui Paesi dove si preleva. C’è chi dice che dovremmo pagare di più, chi dice di meno, chi dice tutto negli Stati Uniti e chi dice altrove. Sono problemi, credo, che vanno discussi come parte di un processo legislativo. L’aliquota va decisa all’interno di ciascun Paese europeo, fra i cittadini e il governo. Quanto a dove vanno pagate le imposte, ci sono già organismi internazionali che se ne occupano, l’Ocse e molte altre ottime iniziative. C’è modo di gestire queste cose nel processo legislativo. Noi aziende ci adatteremo».
Sta dicendo che siete aperti a discutere del «profit shifting», il trasferimento di redditi tra Paesi, ma che le norme Ue sugli aiuti di Stato non sono lo strumento giusto?
«Assolutamente sì. Sono discussioni che è ragionevole avere e noi siamo favorevoli a un sistema fiscale semplice, lineare che sia pianamente allineato in giro per il mondo. Seguiremo questo sistema nella misura in cui sia l’esito di un processo legislativo. Ma non possiamo accettare questo tentativo di cambiare retroattivamente le leggi esistenti semplicemente perché a qualcuno una certa legge in Irlanda non piace e l’avrebbe voluta diversa. Ciò elimina la certezza della legge ed è un enorme problema in Europa».
Saprà che la Commissione Ue sugli aiuti di Stato ha poteri esecutivi.
«Come europeo mi dispiace moltissimo per quello che sta accadendo. A parte la nostra reputazione, che difenderemo, il vero danno riguarda l’economia europea. Mi creda, in questo momento ci sono aziende in Europa, negli Stati Uniti, in Asia che si chiedono come potranno gestire i rischi sul sistema fiscale nell’Unione Europea, se non c’è certezza della legge. Sono rischi molti difficili da accettare, impossibili da gestire».
Almeno riconoscerà che dall’Irlanda avete avuto un trattamento di favore?
«Ci siamo stabiliti lì nel 1980. Nel 1991 e nel 2007 abbiamo chiesto alle autorità fiscali irlandesi di spiegare esattamente come operare nel Paese e come pagare correttamente le tasse. È un procedimento normale che si segue specialmente quando la legislazione cambia. Ma qualunque condizione fiscale a noi applicata, era disponibile anche per le altre aziende».
Non è strano che molti normali cittadini paghino aliquote più alte di Apple o Google?
«C’è una questione sulla tassazione delle imprese nel mondo. I sistemi non sono allineati a questo crea tensioni. Il nostro caso in Europa ne è l’esempio. Ma è anche vero che Apple è il più grande contribuente al mondo. Nel 2014 abbiamo riportato il 26,1% di tasse sui nostri ricavi e nel 2015 il 26,5%. Nel mondo delle imprese, queste aliquote sono piuttosto fra le più alte».