Jobs act e lavoro sfuggente
Scenario Il boom dei voucher e il calo delle partite Iva sono segnali dell’incertezza del ciclo economico. Presto saranno messe alla prova le virtù della normativa
La criticità del mercato del lavoro è davanti agli occhi di tutti. Manca però la capacità di affrontare i nodi aperti con un approccio che lasci da parte slide/invettive e invece analizzi dossier per dossier le scelte che hanno funzionato e quelle che no. È un metodo poco praticato dalla società politica italiana ma che può risultare efficace. Prendiamo il caso della cassa integrazione, una sorta di avamposto dell’occupazione. Un punto di osservazione prezioso per capire le tendenze. Si era detto che prima di nuove assunzioni avremmo avuto un riassorbimento dei livelli di Cig, in proporzioni che nessuno però si avventurava a prevedere. Non sembra che le cose siano andate così e i segnali di nuove richieste che arrivano dal settore dell’auto suggeriscono cautela e diffidenza.
Il guaio però è che nelle settimane scorse sono circolati studi e tabelle di segno divergente a dimostrazione evidentemente di difficoltà/ritardi a monte, nella registrazione degli input. Vedremo, nell’attesa terremo le dita incrociate perché purtroppo le ristrutturazioni industriali (dolorose) non sembrano finite. Lo stesso metodo pragmatico applicato al dossier Garanzia Giovani ci suggerisce di mettere da parte le polemiche sul bilancio di questa esperienza (personalmente ho molti dubbi): conviene far tesoro di cosa ha rappresentato ovvero una sorta di stress test delle nostre politiche attive del lavoro. Materia nella quale siamo dei neofiti. Per la prima volta (!) è stata creata un’infrastruttura informatica ovvero una rete nazionale alla quale conferire i dati dei giovani in cerca di lavoro. Sono stati registrati più di 1,1 milioni di ragazzi ma ne sono stati accompagnati al lavoro 40 mila. La sproporzione è evidente ma conviene partire da questo dato per migliorare. Abbattere Garanzia Giovani sarebbe un errore e del resto già la Ue ha qualche remora a rifinanziarla perché ci sono stati Paesi che l’hanno usata molto peggio di noi.
In autunno partirà anche la prima sperimentazione delle competenze della nuova agenzia nazionale del lavoro (Anpal), l’assegno di ricollocazione. Si tratta di un progetto ambizioso, figlio della cultura della flexsecurity. A settembre sarà messo a punto il modello di procedura e già a novembre dovrebbe fruire dell’assegno un campione di qualche migliaio di disoccupati espulsi dalla produzione. La platea potenzialmente interessata al provvedimento è di un milione di persone e il numero è sufficiente a spiegare l’estrema attenzione di cui ci sarà bisogno nella fase di implementazione. Di progetti ambiziosi impigliatisi nella burocrazia ne conosciamo abbastanza e lo stesso varo dell’Anpal non è sfuggito per lunghi mesi a questa regola cinica e bara. Più controverso si presenta il rendiconto dell’esperienza dei voucher, il cui utilizzo è esploso. Erano stati lanciati per favorire l’emersione di attività non contrattualizzate e invece sono stati abusati anche nei settori più tradizionali per polverizzare le relazioni di lavoro. Si è creata così una contraddizione: il Jobs act si muoveva in direzione della stabilizzazione di rapporti precari e il voucher, sul versante opposto, creava «coriandoli» di lavoro. Come mai? C’è chi sostiene che questa divaricazione si è prodotta perché il mercato comunque chiede flessibilità e il Jobs act fornisce una sola risposta, rigida e generosamente finanziata dalla fiscalità generale. I tecnici del governo replicano che il jobs act si è scontrato con l’incertezza del ciclo economico e anche il boom del voucher si spiega con un aumento dell’incertezza e della sfiducia da parte delle imprese. Insomma non è questione di strumentazione poco adatta ma di scarsa quantità della ripresa. E la riprova verrebbe dai flussi delle partite Iva: sono in calo le nuove aperture e in crescita le chiusure. Non c’è stato, dunque, neanche un ipotetico travaso dal lavoro dipendente al finto-autonomo, bensì un ristagno complessivo. È chiaro che in questo scenario — che presenta molti caveat — si avvicina per il jobs act la più impegnativa delle prove: nel 2016 gli incentivi sono stati ridotti al 40%, con la prossima legge di Stabilità saranno azzerati. Ce la farà la riforma più famosa del governo Renzi ad attestare sul campo le proprie indiscutibili virtù?