«Ora basta o mollo» Le lacrime di Virginia È resa dei conti con il mini direttorio
Il post alle quattro del mattino, una serie infinita di riunioni, una giornata lunghissima, la più dura del suo breve mandato da sindaca. E uno sfogo, affidato a più riprese ai consiglieri comunali incontrati di mattina al Campidoglio, alla senatrice Paola Taverna e agli altri membri del mini direttorio romano chiusi in conclave, insieme ai consiglieri comunali e al presidente dell’Assemblea Capitolina Marcello De Vito, con lei fino a tarda sera a Palazzo Senatorio. La richiesta, di nuovo, è stata quella di fare scelte «più condivise».
Virginia Raggi, l’avvocatessa che ha sbancato le elezioni a giugno, è già sull’orlo di una crisi di nervi: per la tensione, le è anche scappata qualche lacrima. Ai suoi, la sindaca l’ha ripetuto spesso: «Basta con le guerre intestine e sotterranee, con le indiscrezioni fatte filtrare sulla stampa». Poi la minaccia: «Se andiamo avanti così, sono anche pronta a mollare. Vi abbandono tutti e me ne vado». Una provocazione, forse, per alzare la posta in gioco e incassare la «blindatura» che le arriva da Luigi Di Maio, l’anima «governativa» di M5S. La posizione di Di Maio è chiara: «Lasciamola governare. Che sia lei a decidere anche sulle nomine». Di Maio ha anche proposto «di azzerare tutte le scelte che vengono ricondotte a noi. Lasciamole carta bianca». È il punto nevralgico della crisi che si è aperta al Campidoglio, in un primo settembre che, come una macchina del tempo, catapulta Raggi dove Gianni Alemanno e Ignazio Marino sono arrivati, rispettivamente, dopo due anni e mezzo e dopo un anno di sindacatura: ad un passo dalla rottura definitiva.
Raggi è molto decisa: vuole avere le mani libere e non cede sulle nomine dei suoi «fedelissimi» (come Salvatore Romeo, capo segreteria). Atteggiamento, quello di Raggi, mostrato fin dall’inizio, già con le contestatissime (dalla base e anche dai parlamentari) scelte di Daniele Frongia come capo di gabinetto (poi abortita) e di Raffaele Marra come vice. Fu Beppe Grillo a chiedere di rimuovere l’ex alemanniano ma lei, anche col leader, fondatore e garante del Movimento fece «spallucce». Disse di aver rimosso Marra, ma poi si scoprì che non era vero: «E se ha preso in giro Grillo — ragionava un parlamentare — è capace di tutto». E lo stesso Grillo viene descritto da chi gli sta vicino come «preoccupatissimo» dalla piega che stanno prendendo le cose. Ma c’è un altro aspetto che ha mandato su tutte le furie il mini direttorio romano: della richiesta di parere all’Anac, i parlamentari e il board capitolino (che più volte hanno già minacciato le dimissioni) non sapevano niente. La più nervosa pare la Taverna, quella che teorizzò il famoso «complotto a farci vincere». La senatrice romana, insieme alla deputata Carla Ruocco (molto vicina a Minenna), rappresentano l’ala più oltranzista. Fosse per loro, aprirebbero subito lo showdown definitivo: «Se Raggi deve cadere — ragiona un esponente grillino — meglio ora che fra un anno». Intenti, per ora, stoppati da Di Maio che sta anche giocando una sua partita interna con Alessandro Di Battista: «Su Roma decide lui, io ho poca voce in capitolo», ha fatto sapere il vicepresidente della Camera. Magari è il prologo di quello che accadrà.