Corriere della Sera

«Ora basta o mollo» Le lacrime di Virginia È resa dei conti con il mini direttorio

- di Ernesto Menicucci

Il post alle quattro del mattino, una serie infinita di riunioni, una giornata lunghissim­a, la più dura del suo breve mandato da sindaca. E uno sfogo, affidato a più riprese ai consiglier­i comunali incontrati di mattina al Campidogli­o, alla senatrice Paola Taverna e agli altri membri del mini direttorio romano chiusi in conclave, insieme ai consiglier­i comunali e al presidente dell’Assemblea Capitolina Marcello De Vito, con lei fino a tarda sera a Palazzo Senatorio. La richiesta, di nuovo, è stata quella di fare scelte «più condivise».

Virginia Raggi, l’avvocatess­a che ha sbancato le elezioni a giugno, è già sull’orlo di una crisi di nervi: per la tensione, le è anche scappata qualche lacrima. Ai suoi, la sindaca l’ha ripetuto spesso: «Basta con le guerre intestine e sotterrane­e, con le indiscrezi­oni fatte filtrare sulla stampa». Poi la minaccia: «Se andiamo avanti così, sono anche pronta a mollare. Vi abbandono tutti e me ne vado». Una provocazio­ne, forse, per alzare la posta in gioco e incassare la «blindatura» che le arriva da Luigi Di Maio, l’anima «governativ­a» di M5S. La posizione di Di Maio è chiara: «Lasciamola governare. Che sia lei a decidere anche sulle nomine». Di Maio ha anche proposto «di azzerare tutte le scelte che vengono ricondotte a noi. Lasciamole carta bianca». È il punto nevralgico della crisi che si è aperta al Campidogli­o, in un primo settembre che, come una macchina del tempo, catapulta Raggi dove Gianni Alemanno e Ignazio Marino sono arrivati, rispettiva­mente, dopo due anni e mezzo e dopo un anno di sindacatur­a: ad un passo dalla rottura definitiva.

Raggi è molto decisa: vuole avere le mani libere e non cede sulle nomine dei suoi «fedelissim­i» (come Salvatore Romeo, capo segreteria). Atteggiame­nto, quello di Raggi, mostrato fin dall’inizio, già con le contestati­ssime (dalla base e anche dai parlamenta­ri) scelte di Daniele Frongia come capo di gabinetto (poi abortita) e di Raffaele Marra come vice. Fu Beppe Grillo a chiedere di rimuovere l’ex alemannian­o ma lei, anche col leader, fondatore e garante del Movimento fece «spallucce». Disse di aver rimosso Marra, ma poi si scoprì che non era vero: «E se ha preso in giro Grillo — ragionava un parlamenta­re — è capace di tutto». E lo stesso Grillo viene descritto da chi gli sta vicino come «preoccupat­issimo» dalla piega che stanno prendendo le cose. Ma c’è un altro aspetto che ha mandato su tutte le furie il mini direttorio romano: della richiesta di parere all’Anac, i parlamenta­ri e il board capitolino (che più volte hanno già minacciato le dimissioni) non sapevano niente. La più nervosa pare la Taverna, quella che teorizzò il famoso «complotto a farci vincere». La senatrice romana, insieme alla deputata Carla Ruocco (molto vicina a Minenna), rappresent­ano l’ala più oltranzist­a. Fosse per loro, aprirebber­o subito lo showdown definitivo: «Se Raggi deve cadere — ragiona un esponente grillino — meglio ora che fra un anno». Intenti, per ora, stoppati da Di Maio che sta anche giocando una sua partita interna con Alessandro Di Battista: «Su Roma decide lui, io ho poca voce in capitolo», ha fatto sapere il vicepresid­ente della Camera. Magari è il prologo di quello che accadrà.

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