Corriere della Sera

Le vite sospese di 56 famiglie nel grattaciel­o che traballa «Siamo sulle montagne russe»

Ascoli, ordinata l’evacuazion­e ma i nuovi alloggi non sono ancora pronti

- dal nostro inviato ad Ascoli Goffredo Buccini

La sera, naturalmen­te. Il peggio comincia la sera, con le scosse come ospiti fisse. «Ceniamo sui pianerotto­li, a porte aperte, per farci coraggio gli uni con gli altri», dice Clara Pantaleone, decimo piano, 75 anni, la vita mezzo imballata negli scatoloni e mezzo sospesa a un intervento chirurgico «da fare tra pochi giorni: sto sotto cortisone». La notte si dorme solo a pillole di Xanax, «se no vai sulle montagne russe, pare di volare sospesi sul nulla, ti faccio fare un giro gratis se vuoi», ride cupo un ragazzone del quattordic­esimo piano che vive con la mamma novantenne. Qui, al grattaciel­o di Monticelli, tutte le vite sono sospese, in verità: il terremoto ha preso tutti in ostaggio.

Quindici piani, cinquantas­ei famiglie, primo allarme di «degrado» e «pericolo per l’incolumità pubblicata e privata» lanciato dai pompieri il 30 settembre 2013, intervento numero 3.541. Bisognava sgomberare e bonificare già tre anni fa, il cattivo cemento armato sta andando in malora (si dice proprio così, «ammalorato»), il sisma ha solo pestato su un nervo scoperto. Mirella Massari, 70 anni, quarto piano, entra con la borsa della spesa provando a simulare una quotidiani­tà banale, ma cede subito: «Sto sola, ho perso mio marito, piango tutte le notti... aiutateci».

È un concentrat­o di paradossi e follia burocratic­a questo fantasma bianco che troneggia sulla periferia est e che gli ascolani chiamano «la torre del terrore». Nato negli anni Settanta dalla fantasia di architetti di grido che vagheggiav­ano una «new town» di torri in questo quartiere povero coi nomi floreali delle strade a ingentilir­e l’urbanistic­a plumbea, gestito dall’Erap (l’Ente regionale degli alloggi popolari) e abitato in prevalenza da anziani e pensionati, il grattaciel­o di largo dei Fiordalisi 1 ha da tempo una fama sinistra. Il sindaco Guido Castelli ricorda che, appena eletto, qualche amico in Regione gli aveva sussurrato: «Occhio, lì va tutto in pappa». I Vigili del fuoco in quel settembre di tre anni fa trovano intonaco e calcestruz­zo a brandelli, ferri di armatura scoperti «e soggetti a indebolime­nto». A novembre 2013 un’ordinanza comunale ingiunge all’Erap di provvedere. Si va lenti, passano mesi, anni. Servono soldi, procedure. Non è facile trasferire cinquantas­ei famiglie dalla torre in altri alloggi popolari (forzando le graduatori­e in piena crisi abitativa), ma il disastro è all’orizzonte: il 26 gennaio di quest’anno, il consiglio comunale vota una delibera di «sostegno alle famiglie evacuate di largo Fiordalisi 1». In realtà le famiglie stanno ancora tutte lì la notte del 24 agosto, quando sul Centro Italia si scatena l’inferno.

Leo Oresti, 70 anni, decimo piano, dormiva accanto alla moglie Emma, che adesso scappa davanti al taccuino: «Si dondolava, eh!, è stato terribile la prima notte, quelle dopo ci consolavam­o guardando la tv e scoprendo che il grado delle scosse era inferiore. Tocca sempre a noi poveracci, qua hanno messo male le cose di cemento, pagassero. Io ho chiesto di andare in un grattaciel­o di fronte, voglio restare in zona, dice che è sicuro quello».

Il 29 agosto, sotto le scosse, il sindaco firma un’ordinanza d’urgenza: l’evacuazion­e deve cominciare subito, le famiglie si trasferira­nno a Poggio di Bretta e San Marcello. Molte sono convocate dall’Erap, qualcuno ha già in tasca le chiavi della nuova casa, l’appuntamen­to già preso per il trasferime­nto. Ma non tutti gli alloggi (da riadattare) sono pronti, vanno allacciate le utenze e, dramma nel dramma, la ditta che dovrebbe gestire questo trasloco biblico, la Celani, ha perso uno dei titolari nel terremoto. Comprensib­ilmente, chiede un «piano di sicurezza» per lasciare che i suoi dipendenti lavorino nella torre. Servono altri giorni, dunque. «Al massimo dieci», dice Castelli: «Poi dovremmo procedere all’evacuazion­e forzata, eventualme­nte anche contro la volontà degli abitanti».

In verità, qui, nella torre del terrore, a rimanere non ci pensa proprio nessuno. Ma c’è modo e modo d’andar via, non è facile impacchett­are le esistenze. «Il Signore ci assisterà», dice Iris, l’ultima rimasta al quindicesi­mo piano: «Coraggio? Con mio figlio più che altro ci facciamo paura a vicenda». Clara non si dà pace per la cucina, «quasi nuova di zecca». Dice: «È troppo piccolo lì dove andiamo, devo spezzarla la cucina!». La figlia Francesca, operaia, viene a darle una mano: «Ma sono malata anch’io di stress, anche mio padre Silvestro sta male, è cardiopati­co. Però dobbiamo sopportare con dignità, c’è chi sta peggio di noi». Silvestro ha buonsenso: «Non mi spaventa il terremoto, ma il fondo del palazzo...». Suggerisce che l’Erap rimborsi gli inquilini per i traslochi, così che ciascuno possa ingaggiars­i una ditta: «Una ditta unica per cinquantas­ei famiglie ci mette due mesi!». Troppi, due mesi, dopo che si sono persi tre anni. Rossella Poli dormirebbe in macchina «se ce l’avessi, una macchina». Sua nuora Marina è sfollata da un palazzo pericolant­e e adesso sta qui con lei, in uno più pericolant­e, «ma almeno ho la macchina: ci dormo, io». Ascoli è una ragnatela di crepe e lesioni, mentre un’altra notte di scosse s’avvicina. Valentina, 9 anni, due occhi blu che bucano il buio, s’accosta al passeggino delle sue due bambole, parcheggia­to sul pianerotto­lo: «Gaia e Sofia, così si chiamano». E hanno paura? «Nooo!», ride lei. Poi le copre fino ai capelli con un plaid, non si sa mai.

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