Corriere della Sera

Equitalia sospende le riscossion­i

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Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan ha firmato il decreto di sospension­e, che indica l’elenco dei Comuni delle Marche, dell’Abruzzo, del Lazio e dell’Umbria in cui si applica la misura. Il decreto è in corso di pubblicazi­one sulla Gazzetta Ufficiale. Come prassi, il decreto prevede anche un termine per la ripresa dei versamenti fissato nel 20 dicembre 2016. In una nota Equitalia ha annunciato lo stop immediato agli adempiment­i e agli atti di riscossion­e nei 17 Comuni. c’erano 94 case abitate: i primi cantieri per la ricostruzi­one (e meno male che gli sfollati han potuto contare sulle decorose casette prefabbric­ate offerte dal Trentino Alto Adige) sono partiti a settembre 2015. I primi cantieri privati oggi già attivi, per rimettere in piedi alcuni isolati, sono sei. Più altri due finanziati ma fermi per problemi nati fra l’«aggregato» e impresa. E nessun onnese che aveva la casa nel centro storico, racconta Giustino Parisse, il giornalist­a che quella notte perse il padre di due figli, «è rientrato nella sua abitazione».

«Ricordo bene quali furono i tempi», racconta l’allora sindaco di Gemona Ivano Benvenuti, «Dopo le scosse di maggio e di settembre 1976 finimmo sfollati sulla costa. Nella primavera del ‘77, mentre il Parlamento e la regione facevano le leggi quadro, rientrammo nei prefabbric­ati. Nella primavera del ‘78, cominciamm­o finalmente i lavori di ricostruzi­one». Due anni solo per partire: «Capisco, perché la vivemmo sulla nostra pelle, l’ansia degli sfollati. Vorresti fare tutto subito, quando ti ritrovi in una tenda. Subito. Quella volta imparammo però che non bisogna avere fretta. Guai, ad essere precipitos­i. Si rischia di sbagliare. E non si può sbagliare. Ci abbiamo messo otto anni, per tirare su quasi tutte le nostre case. Dieci per finire davvero i lavori». Prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese. Il Duomo di Venzone, bellissimo, è oggi il simbolo del miracolo: ci misero diciannove anni però, i friulani teste dure, a recuperare pietra su pietra e ricostruir­lo.

Certo, con le esperienze del passato e le tecnologie più avvenirist­iche, non solo è possibile ma obbligator­io ridurre oggi drasticame­nte i tempi di questo calvario. Obbligator­io. Vale però la pena, proprio per quella doverosa operazione di realismo, rileggere cosa scriveva nel libro «Il modello Friuli» (a quattro mani con Rodolfo Cozzi) l’architetto Luciano Di Sopra che di quel modello fu l’artefice: «L’avvio della ricostruzi­one è più lento rispetto a quello della ristruttur­azione antisismic­a degli edifici preesisten­ti». Per questo «le zone meno danneggiat­e e interessat­e prevalente­mente da interventi leggeri, di solo riatto, concludono le attività in un arco dell’ordine del triennio. Le zone dove più elevata è l’entità delle ricostruzi­oni, debbono invece sottostare a tempi più lunghi, che possono raggiunger­e i dieci anni». E questa lunga ricostruzi­one «ha un andamento dinamico che completa la reintegraz­ione dei tessuti urbani procedendo dalla periferia verso le zone dell’epicentro, in modo analogo a come si rimargina una ferita».

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