Corriere della Sera

Il fratello in attesa dell’ultimo disperso «Io so che è vivo»

- dalla nostra inviata Giusi Fasano

Zia è arrivato qui dall’Austria giovedì della settimana scorsa. L’hanno portato nel punto esatto in cui c’era la casa di suo fratello Sayed e lui se na sta lì ogni santo giorno per ore e ore. Rimane in piedi fermo, braccia conserte, e guarda giù verso il dirupo. La casa dove suo fratello viveva assieme ad altri afghani come lui non soltanto è crollata, è anche scivolata in basso per molti metri, nella scarpata sulla quale si affacciava. E siccome è difficilis­simo raggiunger­e quel che ne rimane, le ispezioni dei vigili del fuoco vanno a rilento.

I cani hanno segnalato la presenza di qualcuno sotto le macerie ma è tutto in equilibrio molto precario e forse nemmeno oggi si riuscirà a controllar­e sotto il cumulo dei detriti. Però Zia non sa cosa sia la resa, conosce bene soltanto la speranza: «Sarà vivo in qualche angolo là sotto, lo so», dice a se stesso e agli amici che gli stanno accanto. Loro annuiscono mentre lui cerca le foto del fratello sul telefonino.

Eccolo, Sayed. Sorride da un’immagine inviata a Zia pochi mesi fa. Non si vedevano da un pezzo, i due fratelli, entrambi rifugiati politici. Zia in Austria da un paio d’anni, Sayed da queste parti da nove mesi, ospitato con il sistema Sprar, l’accoglienz­a diffusa di piccoli gruppi di immigrati. Ad Amatrice ce n’erano trenta, tutti salvi. Il solo che manca all’appello è lui, Sayed, scappato dalla guerra e venuto a morire in questo posto che il terremoto ha reso simile ai luoghi da cui era fuggito. L’afghano dovrebbe anche essere l’ultimo dei dispersi, a meno che non ci siano persone di cui non è mai stata segnalata la presenza, qui, nella notte del terremoto.

Suo fratello racconta che «in Afghanista­n ha lasciato la moglie e tre figli», che «è legatissim­o a nostro padre, vecchio e malato», giura di non sapere come ha raggiunto l’Italia anche se, dice, «credo che sia arrivato come arrivano quasi tutti gli afghani», cioè via terra.

Non è tipo da tanti discorsi, Zia. Parla a voce bassa, non stacca gli occhi dai mezzi dei vigili del fuoco. Gli altri raccontano per lui. Dicono che «Sayed aveva avuto il permesso per andare a lavorare in una pizzeria a Torino», ma che «aveva rinviato la partenza perché voleva dare una mano per la sagra degli spaghetti all’amatrician­a».

Il terremoto l’ha sorpreso nella casa scivolata a valle assieme a tre connaziona­li: Hadil si è salvato buttandosi dal balcone, Whaid si è ritrovato fuori senza nemmeno sapere come, Sultan è uscito dalle macerie da solo. Sono tutti feriti e sono stati loro ad avvisare Zia. «È rimasto sotto una montagna di pietre» gli hanno detto. E lui: «La sola cosa che conta è che sia vivo».

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L’attesa Zia davanti alle macerie della casa di suo fratello Sayed

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