Corriere della Sera

Esplode la navicella di Elon Musk L’impresa (spaziale) deve aspettare

Doveva portare in orbita i satelliti di Facebook. I limiti della «colonizzaz­ione» privata

- DALLA NOSTRA INVIATA

Un razzo Falcon 9 di SpaceX, la società aereospazi­ale di Elon Musk, è esploso ieri mattina nella base di Cape Canaveral in Florida. Due esplosioni, avvenute a pochi minuti l’una dall’altra, si sono verificate durante i test di preparazio­ne per il lancio in programma domani, e hanno fatto tremare gli edifici nel raggio di qualche chilometro senza causare feriti.

Un comunicato rilasciato dalla società ha detto che «c’è stata un’anomalia sulla rampa che ha provocato la perdita del veicolo e del suo carico». Insieme al razzo è andato distrutto anche Amos 6, il satellite per le comunicazi­oni da 200 milioni di dollari della compagnia israeliana Spacecom che doveva portare internet nello spazio con il progetto Internet.org di Mark Zuckerberg. Nelle intenzioni di Facebook, Amos 6 avrebbe in questo modo fornito connession­e nell’Africa subsaharia­na.

Una brutta giornata per Zuckerberg, che dopo l’incidente ha dichiarato «siamo molto dispiaciut­i per la perdita del satellite, ma rimaniamo fedeli alla nostra missione: connettere le persone a Internet in tutto il mondo»; ma soprattutt­o per Elon Musk.

Il visionario imprendito­re nato in Sudafrica nel 1971, proprietar­io anche di Tesla Motors e Solar City e appassiona­to di pianeti lontani fin da bambino, ha fondato SpaceX nel 2002 con l’obiettivo di «colonizzar­e Marte»: dopo soli dieci anni la sua è diventata la prima capsula orbitale di un’azienda privata a raggiunger­e la Stazione spaziale internazio­nale (Iss). Grazie alla determinaz­ione e al denaro di Musk, SpaceX ha raggiunto un accordo con la Nasa per trasportar­e, insieme alla Boeing, non più solo oggetti ma anche astronauti sulla Stazione spaziale dal 2017.

Un traguardo importante, che avvicina Musk al suo sogno di conquista dello spazio, ma che richiede ulteriore lavoro. Gli esperiment­i sono stati tantissimi, i fallimenti pure. Due i più clamorosi: il primo nel giugno 2015 quando il razzo è esploso durante il lancio, il secondo nel gennaio del 2016 con il cedimento di uno dei sostegni per l’atterraggi­o.

Manca ancora un anno per avviare il trasporto «umano» ma di sicuro l’incidente di ieri rallenta la corsa di Musk, impegnato — in queste settimane — a gestire anche un problema di liquidità del suo impero dovuta alla complicata fusione di Tesla e Solar City.

C’è da scommetter­e che il co-fondatore di PayPal, cinque figli, cresciuto con la disciplina severa del padre che obbligava lui e il fratello a studiare e prendersi cura della casa, ce la metterà tutta per farsi trovare pronto.

Lo spazio è un’ambizione comune a molti miliardari della Silicon Valley: da Jeff Bezos che ha creato Blue Origin, diretta competitor di SpaceX, ai fondatori di Google, Sergey Brin e Larry Page, che hanno istituito un premio per incentivar­e le esplorazio­ni. Tuttavia per Musk non è né un capriccio né una prateria di profitti ma l’unica possibilit­à per realizzare il suo sogno: «salvare l’umanità dall’autodistru­zione». Per realizzarl­o è disposto a fare accordi sottobanco con i russi per ottenere satelliti scontati, a finanziare democratic­i e repubblica­ni, persino a firmare accordi scritti sulle ore da passare con la fidanzata (il suo ex collaborat­ore Eric Janson ha scritto in The PayPal Wars: «Chiedeva ai collaborat­ori di lavorare 20 ore al giorno ma non era mai abbastanza: perché lui ne lavorava 23»). Tutto è lecito per salvare l’umanità. Quanto questo aiuterà l’ex bambino prodigio, che a 12 anni ha realizzato e venduto il suo primo videogioco, a portarci su Marte resta un’enigma. Certo non sarà un’esplosione a fermarlo.

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