La filiera
L’oro nero made in Italy si fa con la tecnica Malossol, cioè «a basso contenuto di sale» continuato a consumare il caviale italiano cambiando la provenienza sull’etichetta. E poi Germania, Stati Uniti, Cina, Thailandia, Francia, Nord Europa. Agro Ittica sforna da sola 25 delle 40 tonnellate prodotte dal nostro Paese. Le altre arrivano da Treviso, Milano, Cremona. La Giaveri di San Bartolomeo di Breda, riva destra del Piave, per esempio, alleva specie di origine russa (Osetra, Beluga, Sevruga, Siberian). Nata a metà degli anni Novanta, oggi vende soprattutto in Giappone e a Singapore. A Pandino (Cremona), Matteo Giovannini e Sergio Nannini hanno fondato la Adamas, che spazia tra specie italiane e non. A Cisliano, in provincia di Milano, la Pisani Dossi produce caviale di storione Siberian e Osetra.
Tutte le aziende italiane adottano la tecnica russa «Malossol», ovvero a basso contenuto di sale (sotto il quattro per cento). Perciò in tavola non servono più le uova, i crostoni imburrati, la panna acida o il limone, perché non è più necessario limare la sapidità: il caviale italiano è poco salato. Per gustarlo al massimo basta servirlo tra i meno due e i più due gradi, raccoglierlo con un cucchiaio di madreperla o di osso — quello di metallo rischia di aggiungere una sgradevole nota sulfurea — e accompagnarlo, se si vuole, con dell’amido, che ne esalta il sapore: sono perfetti i blinis (le tipiche crespelle di grano russe) oppure una patata bollita. E nient’altro. Costa troppo? Costa, certo. Ma dal 2010 esistono anche le monoporzioni da dieci grammi (a partire da 16 euro). Volendo lo si può servire con i primi, come insegnano gli spaghetti al caviale di Gualtiero Marchesi e il riso nero e grigio con l’Oscietra Royal di Massimo Bottura. Ottimo anche l’abbinamento con pesci delicati, come i filetti dello stesso storione. Che rappresentano la prossima sfida di aziende come la Calvisius: l’idea è di cominciare a venderli in scatola, sott’olio. «All’italiana».
@Ale_Dalmo