Corriere della Sera

Vino in versi, il lato gourmet di Conte

Un ebook ripercorre i testi del cantautore astigiano in cerca (anche) di bottiglie e sapori

- Luciano Ferraro

«Noi di provincia siamo così / le cose che mangiamo / son sostanzios­e come le cose / che tra di noi diciamo». Paolo Conte qui, nella canzone Snob, è il cantore della sua terra, l’Astigiano. Qualche verso dopo: «Ma stasera tu ceni con me / e non ti sembra un’ora sublime? / C’è il caviar, c’è il paté / c’è uno champagne da favola, / favola snob!». E diventa così poeta dell’altrove, delle «sensazioni tattili, visive, odorose, gustative» trasformat­e in musica e versi. Ci voleva un italiano esperto di vini francesi, Samuel Cogliati, per cogliere la doppia anima del cantautore.

Lo ha fatto con un ebook, Inseguire Paolo Conte (qui e altrove). La casa editrice è Possibilia, fondata dallo stesso Cogliati 5 anni fa, specializz­ata in libri sul vino. Sono vent’anni che Cogliati studia Conte. Gli ultimi due li ha trascorsi a scrivere su di lui, con il metodo della libera immaginazi­one, lo stesso che usa per le degustazio­ni «alla cieca» (ovvero senza L’analisi

sapere quale vino c’è nel calice). Il libro incrocia le parole delle canzoni, alla ricerca di tracce comuni che raccontano meglio di una critica musicale i pensieri e le visioni di Conte. Un capitolo è dedicato ai vini, ai liquori e ai cibi citati negli album. Lo schema contiano, pensieri popolani e atmosfere esclusive, si ripete. Ecco il vino «bianco fresco che va giù bene (nella canzone Wanda) spensierat­o come una gita al mare, con la sua evasione amorosa».

Quale potrebbe essere, secondo Cogliati, il vino che aleggia, ad esempio, su Genova per

noi, su quelli che hanno «la faccia un po’ così... E i gamberoni rossi sono un sogno / e il sole è un lampo giallo al parabrise»? «Un Gavi, quello di Cascina degli Ulivi di Stefano Bellotti; o un Vermentino ligure, di Santa Caterina. Vini molto beverini, delicati ma con carattere». Conte non cita vitigni nelle canzoni, con due eccezioni: lo «Zibibbo al lampo che fu» (in Dopo le

sei), secondo Cogliati «imposto dalla sua pertinente dolcezza, ma ancor più dall’esplosivit­à fonetica» e il Tocaia, citato in Ludmilla. Si riferiva al Tocai italiano (ora Friulano) o a quello ungherese? «Il contesto circense della canzone fa propendere per la versione dolce ungherese», ritiene Cogliati. E cosa evoca quando canta «nu bicchiere e’ vino niro» in un’incursione al Sud, cantando in dialetto in Ma si t’a vo’ scurdà? «L’inflession­e campana e il riferiment­o al colore scuro fanno puntare — pensa Cogliati — a un Aglianico irpino, di Cantina Giardino, o di De Conciliis, o del Cancellier­e, dalla zona del Taurasi».

La bevanda preferita di Conte è comunque lo Champagne. «Si insinua da Quadrille («Elle est dans la finesse / d’une coupe de champagne»), fino a quello della “favola snob”». «Lo vedo con una coppa di Jacques- son — è sicuro Cogliati — un vino di personalit­à matura ma confortevo­le, per i momenti di festa, non di ricerca intellettu­alistica. Quello intimo (e un po’ cupo) di Snob è invece per me uno champagne di récoltant: la cuvée Sainte-Anne di Chartogne-Taillet, austera, ma ampia e morbida». «Negli “abissi di tiepidità” di Un gelato al limon, con questi vini ci si può immergere nella magia e nel silenzio dell’Ultima donna in un “bagno di vita, /di Champagne e di sudore”».

Per scrivere il libro Samuel Cogliati ha studiato le canzoni contiane per 20 anni

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