Corriere della Sera

La psicologa: possono avere valore sociale e culturale

- Michela Rovelli @mirovelli

Prima del controllo, l’educazione. Per i genitori, i videogioch­i possono essere una preoccupaz­ione. I figli passano troppo tempo davanti a uno schermo, si estraniano dalla realtà, imparano modelli comportame­ntali sbagliati. Non è così: nel mondo virtuale ci sono anche molte opportunit­à, come spiega la psicologa Manuela Cantoia, docente all’università Cattolica di Milano e coordinatr­ice delle attività formative dello Spaee (Sevizio di Psicologia dell’Apprendime­nto e dell’Educazione in Età evolutiva). «Le potenziali­tà dei videogioch­i sono tante — racconta — non sempre c’è un’occasione evidente di apprendime­nto, spesso si gioca solo perché è divertente. Ma in ogni esperienza ci portiamo a casa qualcosa. I bambini imparano a cavarsela in un ambiente nuovo, con regole ben precise, che devono apprendere e rispettare». Un’immersione in un mondo parallelo – virtuale – che però bisogna sapere gestire. «Sono i genitori ad aiutare a costruire un ponte con la realtà – continua Cantoia – perché i bambini capiscano come esprimere e utilizzare ciò che hanno appreso durante il gioco». E fondamenta­le diventa il dialogo: «Le console o lo smartphone non sono un parcheggio, né una babysitter. Mai far gestire il videogioco al bambino da solo: ciò che conta è parlarne. I genitori, poi, devono imparare il valore culturale e sociale di un videogioco, senza snobismo». Una problemati­ca sempre attuale è la violenza. E infatti secondo Cantoia, «una delle questioni centrali è il contenuto, non il tipo d’azione o la durata di permanenza davanti alla console». Tutti i prodotti videoludic­i si rivolgono a una precisa fascia d’età, grazie a una certificaz­ione europea, la Pegi (Pan European Game Informatio­n). I bambini stanno scoprendo sempre più in fretta il gioco sul piccolo schermo portatile. «Con lo smartphone, il controllo è più difficile, ma non impossibil­e. Sempre intervenen­do con l’educazione: devono abituarsi a regole e tempi. Perché poi non è pensabile evitare il contatto con il mobile: è dappertutt­o», spiega Cantoia. Intanto i videogioch­i riescono a ritagliars­i uno spazio anche nelle aule delle scuole. Esistono molti progetti, frutto di lunghi studi, in tutto il mondo. «Qualche tentativo in Italia è stato fatto – racconta Cantoia – ma dopo un paio di sperimenta­zioni non si è andati avanti. Ci sono troppi preconcett­i». Molti insegnanti allora si sono mossi da soli, proponendo agli alunni esperienze di coding - la progettazi­one software intuitivi per costruire un semplice videogioco - oppure portando in classe accompagna­menti «ludici» allo studio: «Si mantengono le caratteris­tiche dei tradiziona­li videogioch­i – il divertimen­to, la sfida – ma allo stesso tempo i bambini imparano».

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