La psicologa: possono avere valore sociale e culturale
Prima del controllo, l’educazione. Per i genitori, i videogiochi possono essere una preoccupazione. I figli passano troppo tempo davanti a uno schermo, si estraniano dalla realtà, imparano modelli comportamentali sbagliati. Non è così: nel mondo virtuale ci sono anche molte opportunità, come spiega la psicologa Manuela Cantoia, docente all’università Cattolica di Milano e coordinatrice delle attività formative dello Spaee (Sevizio di Psicologia dell’Apprendimento e dell’Educazione in Età evolutiva). «Le potenzialità dei videogiochi sono tante — racconta — non sempre c’è un’occasione evidente di apprendimento, spesso si gioca solo perché è divertente. Ma in ogni esperienza ci portiamo a casa qualcosa. I bambini imparano a cavarsela in un ambiente nuovo, con regole ben precise, che devono apprendere e rispettare». Un’immersione in un mondo parallelo – virtuale – che però bisogna sapere gestire. «Sono i genitori ad aiutare a costruire un ponte con la realtà – continua Cantoia – perché i bambini capiscano come esprimere e utilizzare ciò che hanno appreso durante il gioco». E fondamentale diventa il dialogo: «Le console o lo smartphone non sono un parcheggio, né una babysitter. Mai far gestire il videogioco al bambino da solo: ciò che conta è parlarne. I genitori, poi, devono imparare il valore culturale e sociale di un videogioco, senza snobismo». Una problematica sempre attuale è la violenza. E infatti secondo Cantoia, «una delle questioni centrali è il contenuto, non il tipo d’azione o la durata di permanenza davanti alla console». Tutti i prodotti videoludici si rivolgono a una precisa fascia d’età, grazie a una certificazione europea, la Pegi (Pan European Game Information). I bambini stanno scoprendo sempre più in fretta il gioco sul piccolo schermo portatile. «Con lo smartphone, il controllo è più difficile, ma non impossibile. Sempre intervenendo con l’educazione: devono abituarsi a regole e tempi. Perché poi non è pensabile evitare il contatto con il mobile: è dappertutto», spiega Cantoia. Intanto i videogiochi riescono a ritagliarsi uno spazio anche nelle aule delle scuole. Esistono molti progetti, frutto di lunghi studi, in tutto il mondo. «Qualche tentativo in Italia è stato fatto – racconta Cantoia – ma dopo un paio di sperimentazioni non si è andati avanti. Ci sono troppi preconcetti». Molti insegnanti allora si sono mossi da soli, proponendo agli alunni esperienze di coding - la progettazione software intuitivi per costruire un semplice videogioco - oppure portando in classe accompagnamenti «ludici» allo studio: «Si mantengono le caratteristiche dei tradizionali videogiochi – il divertimento, la sfida – ma allo stesso tempo i bambini imparano».