Fuori dal coro: la funzione morale di «Non essere cattivo»
La scoperta del cinema italiano della scorsa stagione, insieme all’originale e premiatissimo fantasy de noantri Lo chiamavano Jeeg Robot e alla spiritosa commedia Perfetti sconosciuti che ha centrato il bersaglio mobile sociale, si chiama Non essere cattivo.
Ne è stato regista, quasi fino all’ultimo, fra difficoltà morali e materiali, un autore off, Claudio Caligari, prima che una malattia lo portasse via, privando il nostro cinema di una voce roca, disturbante, fuori dal coro. È stato finito, montato e curato con appassionato affetto dal produttore Valerio Mastandrea che, per far quadrare i conti, aveva perfino scritto una lettera aperta a Scorsese. Il film è scoppiato, affascinando molto la critica ma disorientando il pubblico che, disattento e accarezzato dalla tv, non vuole essere molestato con un nuovo disperato scampolo di realismo.
Un film piccolo e perciò solido, intenso, che si nutre dell’aria e del contesto suburbano che rappresenta, due stanze con intonacate con molto dolore: la poetica di Accattone aggiornata ai tempi, vuol dire che Pasolini rimane di un’eterna attualità quando cerca tra le miserie umane.
Storia vorace di due ragazzi del sottoproletariato romano che tentano di uscire dalla droga e dai furti e ritrovare la retta via del lavoro: Vittorio e Cesare, amici da una vita, sono cresciuti nel degrado di Ostia. Fra amori di media lunghezza, trans della porta accanto, aneliti di violenza e tragedie di famiglia, uno forse ce la farà. È un film che graffia sullo schermo tanta è la verità con cui espone i fatti senza mai emettere giudizi: i due attori sono i più bravi in circolazione, Luca Marinelli e Alessandro Borghi, ma anche Silvia D’Amico e Roberta Mattei mostrano una grinta non consueta.
È anche raccontando storie come questa, senza l’adesivo del lieto fine, che il cinema si riappropria della sua funzione morale.
Non essere cattivo
di Claudio Caligari, 2015 Sky Cinema Cult, ore 21