Banche, l’allarme del premier e il «cantiere» fusioni
«Ci sono più poltrone e filiali che nel resto del mondo». È vero che la riforma delle banche popolari è stato un passo importante per avviare il consolidamento del sistema del credito, ma Matteo Renzi a Cernobbio ha fatto capire che c’è ancora molto da fare. A cominciare dagli organici: «I lavoratori bancari diventeranno 150 mila». Oggi sono poco meno di 300 mila e ne sono in uscita diverse migliaia. Perché se è vero che le banche, come ha ricordato il presidente del Consiglio, sono «il» problema, è altrettanto vero che i banchieri stanno cercando di trovare soluzioni, rivedendo i modelli di business e riorganizzando anche il personale interno per soddisfare una domanda che sta cambiando e che si sta spostando sulle piattaforme web. Ma, come dice un banchiere «noi rischiamo di trovarci nelle condizioni dell’industria dell’acciaio di qualche anno fa». Fondamentali per lo sviluppo ma con il bisogno di ristrutturazioni e consolidamento. Negli ultimi 12 anni sono usciti dal sistema oltre 60 mila bancari e i big del credito hanno piani industriali che prevedono uscite. Unicredit ne ha previsti 3.500, che usciranno volontariamente, mentre per Intesa Sanpaolo sono 4.500 i dipendenti che l’amministratore delegato Carlo Messina vuole ricollocare. Il sistema del credito non è più la «foresta pietrificata» ma un «cantiere» che si sta ristrutturando. E lo sta facendo con sacrificio. Le banche versano volontariamente ogni anno 200 milioni per gli ammortizzatori sociali delle altre categorie e, dopo l’allungamento del fondo esuberi da 5 a 7 anni, la Fabi, il principale sindacato dei bancari, d’accordo con i banchieri ha chiesto al governo di poter utilizzare quei 200 milioni per gestire le proprie eccedenze di personale. Per raggiungere il numero indicato da Renzi non bastano. Ma non è detto che chiudendo sportelli e licenziando il problema si risolva. Anzi. La strada delle integrazioni, suggerita anche dal premier è altrettanto valida. Lo dimostra la storia di Intesa Sanpaolo, cresciuta per aggregazioni e oggi considerata tra le migliori, se non la migliore, banca in Europa. Adesso tocca a Banco Popolare e a Bpm. Anche se il problema nell’immediato non è solo la mancanza di aggregazioni. Il problema si chiama Mps. Dopo aver chiesto oltre 15 miliardi al mercato negli ultimi otto anni, la banca senese è alle prese con un aumento di capitale da cui dipende il suo futuro e quello di un sistema che fuori dall’Italia è percepito spesso come poco solido, ma che invece può reagire.