Corriere della Sera

Banche, l’allarme del premier e il «cantiere» fusioni

- di Federico De Rosa

«Ci sono più poltrone e filiali che nel resto del mondo». È vero che la riforma delle banche popolari è stato un passo importante per avviare il consolidam­ento del sistema del credito, ma Matteo Renzi a Cernobbio ha fatto capire che c’è ancora molto da fare. A cominciare dagli organici: «I lavoratori bancari diventeran­no 150 mila». Oggi sono poco meno di 300 mila e ne sono in uscita diverse migliaia. Perché se è vero che le banche, come ha ricordato il presidente del Consiglio, sono «il» problema, è altrettant­o vero che i banchieri stanno cercando di trovare soluzioni, rivedendo i modelli di business e riorganizz­ando anche il personale interno per soddisfare una domanda che sta cambiando e che si sta spostando sulle piattaform­e web. Ma, come dice un banchiere «noi rischiamo di trovarci nelle condizioni dell’industria dell’acciaio di qualche anno fa». Fondamenta­li per lo sviluppo ma con il bisogno di ristruttur­azioni e consolidam­ento. Negli ultimi 12 anni sono usciti dal sistema oltre 60 mila bancari e i big del credito hanno piani industrial­i che prevedono uscite. Unicredit ne ha previsti 3.500, che usciranno volontaria­mente, mentre per Intesa Sanpaolo sono 4.500 i dipendenti che l’amministra­tore delegato Carlo Messina vuole ricollocar­e. Il sistema del credito non è più la «foresta pietrifica­ta» ma un «cantiere» che si sta ristruttur­ando. E lo sta facendo con sacrificio. Le banche versano volontaria­mente ogni anno 200 milioni per gli ammortizza­tori sociali delle altre categorie e, dopo l’allungamen­to del fondo esuberi da 5 a 7 anni, la Fabi, il principale sindacato dei bancari, d’accordo con i banchieri ha chiesto al governo di poter utilizzare quei 200 milioni per gestire le proprie eccedenze di personale. Per raggiunger­e il numero indicato da Renzi non bastano. Ma non è detto che chiudendo sportelli e licenziand­o il problema si risolva. Anzi. La strada delle integrazio­ni, suggerita anche dal premier è altrettant­o valida. Lo dimostra la storia di Intesa Sanpaolo, cresciuta per aggregazio­ni e oggi considerat­a tra le migliori, se non la migliore, banca in Europa. Adesso tocca a Banco Popolare e a Bpm. Anche se il problema nell’immediato non è solo la mancanza di aggregazio­ni. Il problema si chiama Mps. Dopo aver chiesto oltre 15 miliardi al mercato negli ultimi otto anni, la banca senese è alle prese con un aumento di capitale da cui dipende il suo futuro e quello di un sistema che fuori dall’Italia è percepito spesso come poco solido, ma che invece può reagire.

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