Dombrovskis: l’Italia ora faccia le riforme Più tempo grazie alla Bce, non va sprecato
Il commissario Ue: flessibilità? Pochi margini, fuori dal deficit solo le spese d’emergenza per il sisma
Valdis Dombrovskis, 45 anni, condivide con Angela Merkel origini da scienziato e una tremenda volontà nascosta dietro un contegno laconico. In vita sua ha visto da Riga la dissoluzione sovietica, lavorato nei laboratori di fisica di Germania e Stati Uniti, guidato da premier la Lettonia attraverso un piano di sacrifici durissimo e di successo; oggi è il vicepresidente della Commissione Ue e sarà determinante nel decidere se questa volta l’Italia esagera con le sue revisioni al rialzo di deficit e debito. Lo si vedrà presto. Uno scambio di lettere fra Dombrovskis e il ministro Pier Carlo Padoan a maggio impegna l’Italia a un deficit dell’1,8% del Pil nel 2017 e a una riduzione «strutturale», cioè senza tener conto delle fluttuazioni dell’economia e delle misure una tantum. Da settimane però nel governo italiano si sente parlare di nuove richieste di «flessibilità».
L’Italia vuole rinegoziare. Che impressione le fa?
«Riguardo al bilancio per il 2017, potremo dare un qualche giudizio quando vediamo la bozza di Legge di stabilità. Ovviamente ci aspettiamo che il governo si attenga gli impegni e prepari il bilancio 2017 in linea con la raccomandazione-Paese inviata all’Italia. Al primo punto prevede un miglioramento del saldo di bilancio di 0,6% del Pil». In termini strutturali? «Sì. Per quanto riguarda la flessibilità in generale, lo spazio è molto limitato perché l’Italia nel complesso ha esaurito nel 2015 e 2016 tutta la flessibilità che era disponibile». Non ne può invocare altra? «In caso di disastri naturali, si può considerare che ci siano misure una tantum di cui non tenere conto quando si valuta lo sforzo strutturale di un Paese».
Parla delle spese di ricostruzione e emergenza?
«Esattamente: i costi direttamente legati al sisma».
Ma altre forme di flessibilità? Dopotutto la ripresa si è fermata e rispettare l’obiettivo di deficit a 1,8% con meno crescita significa più tagli o più tasse.
«Per questo ci concentriamo sempre sugli sforzi strutturali dei Paesi. Quanto alla crescita, in primavera prevedevamo 1,1% quest’anno e 1,3% il prossimo, ma adesso dovremo considerare l’impatto della Brexit e altri fattori di rischio al ribasso per l’economia».
Se una parte di deficit in più è dovuta a minore crescita, è accettabile? «È così». Lei sa che Matteo Renzi sta affrontando un referendum costituzionale al quale i mercati e le altre capitali guardano con timore. Non è un fattore attenuante sui conti?
«Lei sa che la Commissione cerca di stare fuori dalla politica interna dei vari Paesi. Certo apprezziamo gli sforzi di riforma del governo, nel mercato del lavoro, nell’amministrazione e adesso sulla Costituzione in modo da rendere il processo legislativo più lineare e sostenere la stabilità degli assetti. Ma la Commissione ne resta fuori. Non prendiamo decisioni in base a questi argomenti».
Quanto al debito, sembrerebbe che possa di nuovo aumentare quest’anno e forse anche il prossimo. Che ne pensa?
«In effetti è un freno per la crescita. È ben noto che il Paese ha il secondo livello più alto di debito dopo la Grecia, attualmente al 133%. Davvero alto. Quando ne parliamo con le autorità italiane, sottolineiamo che va posto su una traiettoria discendente, ce lo siamo scritti anche nello scambio di lettere dello scorso maggio. Rifaremo una valutazione insieme a quella sul bilancio per il 2017. E certo sappiamo che ci sono fattori che rendono la situazione più complicata: crescita e inflazione basse, e altri di cui abbiamo tenuto conto quando in passato abbiamo deciso di non avviare una procedura sull’Italia. Ma certo questa questione è ancora lì, ed è rilevante».
La vostra prossima valutazione avverrà nel contesto di un debito in aumento...
«Avverrà nel contesto di un debito che è sopra al 60% del Pil e non si sta riducendo a un tasso del 5% della differenza dal 60% come prevede la regola».
Ma guardi ai surplus di bilancio prima di pagare gli interessi: da vent’anni l’Italia fa come o meglio della Germania, eppure il debito sale perché l’economia non va. Se volete usare le vostre procedure, non è meglio farlo per ottenere riforme per crescita?
«Davvero. Questo è un punto importante. La ripresa dell’Italia è molto lenta e sotto alla media europea e un punto di fondo è la crescita della produttività, che ristagna da due decenni ed è molto sotto la media dell’area euro. È stata pro capite a zero contro circa l’1% l’anno nell’area. Devo dire che l’Italia sta facendo progressi nel mettere in pratica le nostre raccomandazioni. Li definirei progressi “medi”, ma anche così sempre più della media degli altri!».
In Germania c’è poca fiducia nella vostra capacità di garantire disciplina sui conti, tanto che avanzano proposte di procedure d’insolvenza sui titoli di Stato. E il suo stesso ex capo staff Taneli Lahti si è dimesso perché, dice, la Commissione Ue fa troppi compromessi “politici”.
«Non commento mai i commenti. Ho lavorato bene con lui e ora ha deciso di prendersi una pausa principalmente per ragioni personali. Quanto a queste proposte che emergono non solo in Germania, sarei cauto. E’ importante non creare dubbi sulla capacità e volontà dei Paesi di onorare il loro debito. Anche per non complicare loro la vita quando devono finanziarsi».
Per ora la Bce sta aiutando con i suoi acquisti di titoli pubblici. Non teme che l’Italia sprechi l’occasione di mettersi a posto finché questi interventi durano, e dopo sarà più dura?
«Mario Draghi dice sempre che gli strumenti di politica monetaria non possono risolvere i problemi strutturali nell’economia. Concordo. La politica monetaria può far guadagnare tempo per gli Stati perché facciano le riforme strutturali necessarie. Per questo è importante che i Paesi usino questo tempo saggiamente e mettano in pratica le riforme. Il mandato della Bce è la stabilità dei prezzi. Oggi l’inflazione è molto bassa, ma a un certo punto si vedrà che non sarà più così e lo spazio di manovra della Bce diventerà molto minore. È importante che questo tempo sia usato saggiamente».
La crisi e i conti pubblici Se il Pil cresce meno per la crisi economica è accettabile che il deficit possa salire