Corriere della Sera

Dove l’Italia rischia La mappa delle zone sismiche nata dopo la tragedia in Molise Ma molte Regioni non la usano per fare la giusta prevenzion­e

- Di Giovanni Caprara

Il terremoto che ha tristement­e segnato l’agosto 2016 si è scatenato in un’area guardata con attenzione perché si conosceva il suo elevato rischio. Grazie alla mappa di pericolosi­tà sismica, nella quale è classifica­ta come «zona 1 - pericolosi­tà molto alta».

Anche se da secoli la nostra Penisola è nota tra i continenti come uno dei territori più soggetti a questo male, soltanto da dieci anni disponiamo dell’efficace strumento per affrontarl­o aiutando, se non altro, la prevenzion­e. Ma non tutte le Regioni hanno provveduto a recepirla come dovrebbero.

Nel 2006, infatti, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato la mappa disegnata dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia Ingv due anni prima e approvata dalla Commission­e grandi rischi dopo l’esame di una commission­e internazio­nale.

«Solo la tragedia di San Giovanni di Puglia portò all’elaborazio­ne del documento», nota Carlo Meletti, che con Warner Marzocchi è alla guida del Centro di pericolosi­tà sismica dell’Ingv. Era il 2002 e durante il terremoto del Molise sotto il crollo di una scuola elementare morirono 27 bambini e la loro insegnante. Prima di allora c’era una classifica­zione studiata dopo il sisma dell’Irpinia, decisament­e insufficie­nte a descrivere il pericolo. Il mondo scientific­o ne era consapevol­e tanto che con un’azione spontanea nel 1998 sismologi e ingegneri di vari enti, dal Cnr al Servizio sismico e altri mettevano a punto una prima carta. Se la costruzion­e della scuola di San Giuliano di Puglia avesse rispettato le valutazion­i di quel documento già esistente, però non ancora diventato un atto dello Stato, non sarebbe crollata.

Proprio l’amara constatazi­one spingeva la Protezione civile nel 2002 a recepire la fatidica carta ordinando una riclassifi­cazione approfondi­ta dell’intero territorio nazionale. «Dello studio se ne faceva carico l’Ingv con la collaboraz­ione del Cnr e di alcune università — precisa Meletti — presentand­o il risultato alla Commission­e grandi rischi che l’accettava nel 2004 diventando la mappa di riferiment­o».

Pubblicata due anni dopo ordinava alle Regioni di recepirla riclassifi­cando il proprio territorio e questo a distanza di dieci anni non è ancora avvenuto in maniera completa.

«Almeno dal 1200 conosciamo i grandi terremoti che si sono abbattuti sulla Penisola — precisa Meletti — e valutando scientific­amente i dati storici, la loro frequenza e intensità abbiamo messo a punto il modello alla base della carta. Questa esprime gli scuotiment­i attesi con una certa probabilit­à nel tempo per ogni punto dell’Italia da tener presente nella progettazi­one di un edificio».

Intanto dal 2015 è in corso la redazione una nuova mappa che sarà presentata nei primi mesi dell’anno prossimo e che integrerà i dati raccolti nel decennio. «Non cambierà molto l’attuale — conclude Carlo Meletti — ma ci aiuterà a valutare meglio la pericolosi­tà».

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