Corriere della Sera

«Non vedo l’ora di tagliare teste anch’io»

I messaggi della 20enne padovana scappata in Siria. Il mandato d’arresto: potrebbe tornare e colpire in Italia

- Andrea Priante

«Dio, ho promesso il mio pegno di fedeltà e lo rinnovo per il principe dei fedeli, il mio Cheick Abu Bakr al-Baghdadi». È il 13 luglio 2015, le 3 ora italiana, quando una studentess­a padovana, Meriem Rehaily, pubblica su Twitter il giuramento prestato nei confronti di al-Baghdadi, la guida spirituale, politica e militare dell’Isis. I fanatici di mezzo mondo rispondono messaggi di incoraggia­mento: «Congratula­zioni amore», «Siamo contenti per te», «Il viaggio delle sorelle è molto duro, più della spada». E il viaggio di questa ventenne di origini marocchine ma cresciuta in Italia, in effetti, sta per cominciare. Il giorno dopo Meriem fugge dalla sua casa di Arzergrand­e per prendere un aereo che da Bologna la porta a Istanbul, in Turchia, e da lì, grazie a un «contatto», in Siria.

L’indagine del Ros di Padova, coordinata dal procurator­e Antiterror­ismo di Venezia, Adelchi d’Ippolito, e dalla sostituta Francesca Crupi, si è conclusa con un mandato di arresto. Ora si scopre che questa ragazza «normalissi­ma», che usciva con le amiche, beveva spritz e ascoltava musica techno, è finita in un campo di addestrame­nto di Raqqa. L’ipotesi degli inquirenti è che possa far parte della brigata «Al Khansaa», composta di sole donne, soprattutt­o europee e russe, addestrate all’uso di armi ed esplosivi. Il loro compito: verificare che le concittadi­ne rispettino la sharia, punendole se non hanno il velo lungo o le mani coperte.

Prima di partire Meriem aveva scritto un tema che aveva preoccupat­o la sua insegnante: «I nemici sionisti credono di portarci lontano dall’Islam. (...) dobbiamo rispettare la nostra religione anche a costo di morire (io ho sempre sognato una morte del genere), allevando i nostri figli secondo l’Islam, renderli pronti per il loro ruolo nella lotta». A un’amica aveva inviato l’immagine di una decapitazi­one: «Non puoi immaginare quanto ho goduto ieri, non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa». Una volta raggiunta la Siria, ha inviato un messaggino alla madre: «Scusa cara mamma, ci vediamo in Paradiso». E a un’amica: «Qui c’è quello che ho sempre sognato. Se mi chiamate terrorista ne vado fiera». Spiegava di essere «ospitata in una casa di sole donne, dove si studia il Corano e le armi». Nei mesi scorsi l’ultima telefonata «sotto le bombe» al padre. Piangeva ma non era pentita: «La guerra non c’è, credimi: c’è per loro». Ora il timore è che possa tornare. Per il giudice c’è «la possibilit­à che l’indagata possa compiere o azioni kamikaze anche in Italia e in particolar­e a Roma».

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