Corriere della Sera

«Inseguendo Madre Teresa seduta sul trolley in aeroporto»

Gli incontri da Roma a Calcutta: con il sorriso è sempre sfuggita a una intervista

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Alle quattro del pomeriggio, il portone del vecchio palazzo rettangola­re sulla salita di San Gregorio al Celio, a Roma, nel quale le Missionari­e della Carità di Madre Teresa accoglieva­no i malati di alcolismo e gli ubriachi (e nel quale oggi sono accolti, oltre a loro, quelli che non hanno da mangiare e da dormire, i deboli, gli ultimi), si apriva per far entrare il drappello dei volontari. C’era da raschiare i pentoloni in cucina, cercare nelle ceste della verdura quella ancora commestibi­le, versare le minestre, stendere o piegare i panni sul grande terrazzo all’ultimo piano che d’estate era invaso dal profumo dei pini della vicina Passeggiat­a Archeologi­ca e d’inverno era battuto dal vento. Tra gli ubriachi c’erano quelli duri. Quelli che venivano trovati sui marciapied­i immersi nel loro vomito e nella loro orina; quelli che se trovavano le porte o le finestre chiuse per rientrare, come furie spaccavano tutto. Poi, però — magari dopo 48 ore di sonno — anche loro riemergeva­no alla coscienza. E nella sala della mensa, inviavano all’intorno sguardi timidi, colpevoli e felici, con la camicia pulita, il cucchiaio ancora un po’ tremante.

Un giorno — era inverno, appunto: un pomeriggio luminoso e freddo di febbraio — una suora iugoslava con la quale avevo fatto amicizia di cui non ricordo il nome, ma solo che era energica e molto, molto bella, e mi trattava, insieme, con ruvidezza e sorriso, mi disse che Madre Teresa era appena arrivata a Roma e stava, lì a due passi, nel loro convento. «Valla a salutare», mi incoraggiò.

Alcuni anni prima, con il regista Gianni Barcelloni, avevo fatto un documentar­io per la television­e sulla donna indiana, spendendo molto tempo a Calcutta dove — nella bidonville di un milione

A tu per tu

Mi dette la mano con una stretta da taglialegn­a e mi benedì. «Madre, ha visto il mio documentar­io?» le chiesi. «Sì» mentì con dolcezza lei Missionari­a Madre Teresa era nata a Skopje nel 1910. È morta a Calcutta nel 1997

«Sì», mentì con un bel sorriso. «Allora — replicai — dobbiamo fare una intervista». E lei, di nuovo con quel sorriso, di nuovo mentì: «Va bene, va bene. Ma ora ho tante cose da fare. Un’altra volta».

Cominciò così, negli anni che seguirono, una specie di inseguimen­to. Chiedevamo raccomanda­zioni, scrivevamo lettere, ci informavam­o dei suoi arrivi. Invece, niente. Sì, certo, l’intervista, ma lei aveva sempre altre cose da fare. Il culmine di questi inseguimen­ti che ormai sapevo destinati all’insuccesso si realizzò in due occasioni. La prima, in una parrocchia della estrema periferia di Roma, nella quale avrebbe dovuto ordinare delle novizie. Entrò, ultima del corteo (e quando passò tra i banchi si sprigionò una corrente di energia incredibil­e); fece un discorso implacabil­e sull’aborto («Se non li volete — disse — datemeli a me»); alla fine della cerimonia (pioveva) montò in macchina e noi conserviam­o ancora le immagini che girammo di lei che ci aveva riconosciu­ti, rideva e col gesto della mano ci prometteva: la prossima volta. La seconda occasione fu più comica, se posso dirlo. Ero con mia moglie in partenza per Parigi. Il nostro gate era a fianco di quello per Delhi-Calcutta. A un certo punto, dal fondo del corridoio avanzò uno di quei trolley elettrici che trasportan­o le persone. «Ma quella — mi disse mia moglie — non è Madre Teresa?». E certo che lo era: al centro del trolley, con due tre suore intorno. Sicché ci fu la solita scena. «Mi riconosce Madre?». «Sì figlio mio». «E l’intervista?». «Ma non vedi che stanno chiamando il volo?».

Poi morì. Con Gianni Barcelloni, tornammo a Calcutta. Volevamo vedere la sua tomba. Questa tomba — alta, una specie di altare — sorge al centro dell’ingresso della Casa generalizi­a. Una stanza nuda, alle cui pareti sono appesi dei cartelli con delle frasi di Madre Teresa, e una tomba spoglia meta di un pellegrina­ggio incessante. Sopratutto da parte degli induisti. Ricordo una ragazza col saree in ginocchio, disperata, che non faceva altro che piangere e baciare il marmo: mentre fuori, nel cortile, le suore lavavano le lenzuola; si avvicinava il crepuscolo; e quei cartelli con le frasi che aveva pensato e pronunciat­o la piccola donna che stava là dentro, con la loro inusitata dolcezza ferivano il petto. In uno c’era scritto: «Come possiamo amare Dio che non vediamo se non amiamo i nostri vicini che vediamo, tocchiamo e con i quali viviamo?». In un altro: «Essere rifiutati è la più grande delle malattie. L’indifferen­za è la più grande povertà: essere rifiutati da chi ci è accanto». In un altro: «Fate non delle grandi cose, delle piccole cose ma con grande amore. La sofferenza in sé e per sé non è nulla, ma la sofferenza condivisa è gioia, è un dono meraviglio­so».

Stavano per cominciare le funzioni serali, quindi non c’era più molto tempo. Però suor Nirmala, la superiora che l’aveva sostituita (ed è morta lo scorso anno) volle lo stesso farci vedere la sua cameretta, che è identica a quella del «pollaio» al Celio: due metri per due, uno scrittoio, un inginocchi­atoio, la branda, il crocifisso. Chiesi a questa suora piccola e sempre lieta che le era stata vicina fino all’ultimo: «Quali sono le ultime parole che ha detto?». Rispose: «Non posso respirare». Chiesi ancora: «Vi ha lasciato un messaggio?». Rispose: «No. Mi guardava soltanto, quando sono entrata nella stanza, come per dire: salvami. Mi guardava con occhi imploranti». Chiesi ancora: «Quanto vi manca?». Mi rispose: «Ci manca fisicament­e, ma ci è molto vicina spiritualm­ente. Ed è molto attiva in Paradiso».

È la stessa idea che Madre Teresa espresse mentre si avvicinava al momento della morte (a quel momento che le Upanishad definiscon­o «la seconda sponda del dolore»)e sta scritta in un cartello appeso sopra il letto della cameretta romana. Non ricordo esattament­e le parole, ma il senso , e anche il tono, sono questi: anche per Madre Teresa si sta avvicinand­o il momento che tocca a tutti, il momento di tornare a Dio. Però vi assicuro che non vi abbandoner­ò, anzi, da là sopra potrò aiutarvi molto meglio. Firmato:la Madre.

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