Corriere della Sera

LA METAMORFOS­I DOLOROSA DEL MOVIMENTO 5 STELLE

Sono ancora poco chiare le cause della crisi nella giunta di Virginia Raggi, ma certamente gli elettori vogliono capire se il M5S è all’altezza del consenso dato In questo momento difficile è necessario che si passi dall’adolescenz­a alla maturità democrat

- di Massimo Franco

Ècominciat­a la metamorfos­i del Movimento 5 Stelle: il passaggio doloroso dall’adolescenz­a alla maturità democratic­a. E l’impression­e è che il cambiament­o sia subìto, non preparato adeguatame­nte. L’arrivo a Roma, prima annunciato e poi annullato, di Beppe Grillo, «il garante», per tentare di risolvere il pasticcio del Campidogli­o, aggiunge un’ulteriore pennellata di confusione. Dice due cose, entrambe preoccupan­ti. La prima è che la crisi in incubazion­e nella giunta di Virginia Raggi è così seria da fare aleggiare l’intervento del mitico Direttorio. La seconda è che la sindaca non appare in grado di risolvere il problema da sola perfino agli occhi di chi l’ha candidata. E questo, di fatto, proietta di nuovo l’ombra di un suo commissari­amento di fatto.

Gli avversari dicono che era già tutto scritto; che la caduta dell’Amministra­zione-vetrina del M5S della Capitale è alle porte; e che il movimento di Grillo è minato dalle correnti e dalle loro lotte come e più degli altri partiti. Giudizi un po’ troppo affrettati, che mescolano i desideri degli avversari con la realtà. Forse è necessaria maggiore cautela. Puntare su un crollo rapido e fragoroso della Raggi non è solo un’illusione, ma un errore politico. Non certifiche­rebbe affatto la sua incapacità di governare. C’è da scommetter­e, anzi, che offrirebbe alla dirigenza dei Cinque Stelle un grande alibi: quello del complotto dei comitati d’affari capitolini per non permetterl­e di governare, magari in combutta col governo nazionale.

La tesi permettere­bbe di velare i contrasti interni che sembrano la principale ragione degli scricchiol­ii di questi giorni. E perpetuere­bbe quella strategia del vittimismo che tanti voti ha portato ai seguaci di Grillo e Casaleggio. Anche perché non si può generalizz­are. Roma risente di un’eredità disastrosa lasciatale dalle giunte di centrodest­ra e, in ultimo, di centrosini­stra. E infatti nella Torino della sindaca Chiara Appendino, che è stata governata e non sgovernata, la situazione è diversa: l’esponente del M5S può tentare di amministra­re con maggiori speranze di farcela. D’altronde, se cade la giunta Raggi che cosa sarebbero in grado di offrire i partiti e gli schieramen­ti tradiziona­li? Domanda senza risposta.

In realtà, per vedere cosa sa fare, o magari non sa fare il Movimento, bisogna dargli tempo. È necessario permetterg­li di misurare fino in fondo pregi e limiti del suo originalis­simo modello di democrazia interna e di selezione della classe dirigente. E nel caso lasciare che emergano le ambiguità di una trasversal­ità così totale da moltiplica­re i voti alle elezioni; ma anche così marcata da trasformar­si in contraddiz­ione implosiva al momento di governare. Limitarsi a attaccarlo e liquidarlo è facile e insieme miope. Fa dimenticar­e che l’ affermazio­ne di Grillo e della sua nomenklatu­ra è il frutto della febbre del sistema e di una profonda crisi di credibilit­à. È questo che ha per-

Profezia Gli avversari dicono che tutto era già scritto, ma forse è necessaria maggiore cautela Confronto La Capitale risente di un’eredità disastrosa, a Torino, invece, la situazione è differente

messo al M5S di esasperare la cultura del nuovismo e di una diversità vissuta e trasmessa come superiorit­à morale.

Ma la democrazia rappresent­ativa è un’altra cosa. Certamente non ne offrono una versione encomiabil­e i partiti di oggi. La novità, però, è che anche quanto sta mostrando in questi giorni ai romani e agli italiani la nomenklatu­ra Cinque Stelle non può né incoraggia­re né far sperare troppo in un’alternativ­a: sia in termini di trasparenz­a che di capacità amministra­tiva. Grillo si è sempre vantato di avere codici culturali e un linguaggio diversi da quelli del «sistema». Per questo ha rivendicat­o orgogliosa­mente di non capire né essere capito dai mezzi di informazio­ne. Non gli si possono dare tutti i torti. Solo che adesso i problemi di incomprens­ione promette di averli con interlocut­ori meno prevenuti e più esigenti: gli elettori che vogliono capire se il Movimento è all’altezza del grande consenso ricevuto anche nella capitale d’Italia.

Magari esisterann­o anche degli oscuri centri di potere che vogliono abbattere la giunta. Ma i complotti esterni riescono quando trovano la complicità e si sommano alla fragilità e alle debolezze interne di chi viene attaccato. La «democrazia della Rete» è un grande fenomeno collettivo e suggestivo. Ma può velare la precarietà delle sue fondamenta solo finché la realtà, quella non virtuale ma dura del governo anche solo locale, presenta il conto.

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