LA SCUOLA «RIFORMATA» CHE TRASCURA TROPPO STUDENTI E GENITORI
Con il ritorno degli studenti sui banchi va a regime la Buona scuola, ovvero la riforma del sistema scolastico del governo di Matteo Renzi. La legge uscita dal Parlamento attribuiva ai presidi il potere di conferire «incarichi triennali, rinnovabili, ai docenti assegnati all’ambito territoriale di riferimento, tenendo conto delle candidature presentate dagli stessi». L’obiettivo era quello di predisporre un organico funzionale alla gestione e allo sviluppo delle singole scuole. In parallelo, per evitare i consueti caroselli di supplenti di inizio anno scolastico, il ministero ha fatto svolgere a tempo di record concorsi per selezionare nuovi insegnanti. In pratica le assunzioni vere — ai primi di settembre — sono state poco più della metà di quelle promesse e così le supplenze non sono sparite. Ai neoinsegnanti sono state proposte cattedre anche lontane dai luoghi di residenza. L’esito più probabile di questo processo sarà l’esplosione dei contenziosi e delle richieste di congedi e aspettative. Tutti istituti contrattualmente tutelati dalla legislazione esistente. Alla fine, con la nuova legge, il preside sceriffo tanto temuto dalle organizzazioni sindacali non sembra certo disporre del potere di offrire o negare lavoro a piacimento ai suoi «sottoposti». Pare più un parafulmine carico di responsabilità ma con limitate possibilità di garantire gli esiti di cui è ritenuto responsabile. Poteva andare diversamente? Sì, se il governo nel disegno delle norme avesse messo al centro della sua azione la collettività, a cominciare dagli studenti e dai genitori utenti ultimi del servizio, e non solo coloro che il servizio lo devono garantire (ovvero insegnanti e personale tecnico amministrativo). Non perché si debbano mortificare i diritti di centinaia di migliaia di persone che con il loro prezioso lavoro mandano avanti il sistema scolastico. Ma solo per non dimenticare i diritti dei milioni dei suoi utenti.