Corriere della Sera

SE L'IRLANDA DIFENDE IL SUO MODELLO FISCALE

- Di Davide Casati

Con una mossa tutt’altro che inattesa, il governo irlandese ha scelto ieri di impugnare la decisione della Commission­e europea di recupero di 13 miliardi di imposte non versate da Apple. Un apparente paradosso: quella cifra equivale a quanto Dublino spende in un anno per il suo sistema sanitario nazionale, e dovrebbe far gola a un Paese fiaccato da anni di austerity e il cui salvataggi­o — come ha ricordato Federico Fubini sul Corriere del 31 agosto — è stato finanziato dagli altri membri dell’Ue. Eppure il pur fragile governo irlandese si è mosso all’unanimità, e il Parlamento, mercoledì, darà con ogni probabilit­à il suo via libera: esattament­e come auspicava, con molta forza, l’ad di Apple, Tim Cook.

Il motivo è chiaro: da decenni l’Irlanda ha accettato un chiaro scambio (fiscale) che garantisce alle aziende meccanismi di riduzione della base imponibile e aliquote bassissime (corporate tax rate al 12,5%, total tax rate al 25,9, contro il 31,4 e il 64,8% italiani) e al Paese i vantaggi generati dall’essere la sede Ue più amata dalle multinazio­nali.

Uno scambio faustiano, secondo molti: Mario Monti, nel rapporto sul mercato unico del maggio 2010, notava come se da un lato in questo modo si accresce la propria attrattiva agli occhi di imprese e capitali, dall’altra si apre la strada a meccanismi di minimizzaz­ione dell’imposizion­e al limite della liceità, e ci si espone a forme di ricatto sempre meno teoriche. Ma quello scambio, per Dublino, aveva finora significat­o occupazion­e, investimen­ti e prestigio: a un costo considerat­o ragionevol­e.

La Commission­e ha però portato alla luce, per la prima volta, le crepe di quel calcolo. Per convincere 5 parlamenta­ri «ribelli» a dire sì al ricorso, il premier Edna Kenny ha promesso una analisi su «quello che le multinazio­nali dovrebbero pagare, e quel che pagano

Motivazion­i Dublino vuole continuare ad essere un paradiso per le multinazio­nali

effettivam­ente». Il timore, ha detto il ministro ai Trasporti Shane Ross, è che «vengano utilizzati vuoti normativi straordina­ri».

Forse a pesare è il timore di uno sfruttamen­to populistic­o dello iato tra aliquote fiscali, o la fatica di spiegare il no a 13 miliardi di euro.

Di certo il tema del ripensamen­to degli equilibri fiscali globali non sembra più eludibile: neppure per chi lo ha sempre ritenuto una minaccia alla propria sovranità, o al proprio interesse.

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