Corriere della Sera

Il Tesoro: Mps, non c’è un «piano B» ma per l’aumento servono più opzioni

La conversion­e dei bond sul tavolo del consiglio dell’8 settembre a Siena

- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Fabrizio Massaro

CERNOBBIO Il Montepasch­i continua ad essere la spina nel fianco del governo di Matteo Renzi. Ieri al forum Ambrosetti a Villa d’Este il premier l’ha citato espressame­nte tra i punti negativi dell’azione del governo sulle banche. E ha auspicato che l’aumento di capitale da 5 miliardi — il terzo dopo i 5 miliardi chiesti nel 2014 e i successivi 3 nel 2015 — possa realizzars­i entro l’anno. La domanda che il mercato si fa è: come? Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, azionista di Mps con un 4%, ha spiegato che l’operazione avrà successo e che quindi non c’è bisogno di un «piano B»: «Tutte le opzioni sono sul tappeto, le stanno valutando con efficienza perché comunque i tempi sono piuttosto stretti. Probabilme­nte diverse opzioni conviveran­no per raggiunger­e il valore complessiv­o dell’aumento di capitale».

Appare ormai chiaro che si andrà verso la conversion­e volontaria dei bond subordinat­i in mano agli investitor­i istituzion­ali. Lo si farà perché dai sondaggi effettuati da Jp Morgan e Mediobanca, capifila del consorzio di ben 13 banche, il mercato non appare in grado di assorbire tutta quella massa di nuove azioni. Una conferma degli umori del mercato è arrivata ieri da Davide Serra, ceo di Algebris, tra i principali investitor­i in bond ibridi: «Stanno chiedendo troppo capitale: per me bastano 3 miliardi e li trovano facilmente, mentre 5 miliardi potrebbero essere difficili da trovare. Comunque per me la conversion­e dei bond è corretta».

La decisione comunque non è ancora presa: se ne riparlerà al board di Mps di giovedì 8. In discussion­e, fra l’al- tro, anche l’estensione della conversion­e volontaria anche ai 2,1 miliardi di bond subordinat­i, in scadenza nel 2018, in mano ai piccoli risparmiat­ori.

Con solo i 2 miliardi di bond degli istituzion­ali convertiti in azioni, il capitale richiesto scenderebb­e a un livello più digeribile dagli investitor­i e più in linea con i multipli oggi espressi dal mercato. Il fallimento degli aumenti di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, con azioni proposte a prezzi superiori a quelli delle banche più sane, brucia ancora.

L’altro nodo da sciogliere riguarda i tempi dell’aumento: gli investitor­i vorrebbero attendere l’esito del referendum costituzio­nale, per escludere ogni incertezza. Il Ceo Fabrizio Viola invece vorrebbe chiudere quanto prima la partita. Ieri Renzi ha voluto mandare messaggi rassicuran­ti al mercato: «Se vince il No in Italia non cambia niente».

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