Kosovo, prima storica L’emozione di Ujkani «Vincere per i morti»
Parerò per i miei morti, dice Samir. Sangue e memoria: le storie balcaniche sono così, partono da lontano e non finiscono mai. «Avevo sei anni quando scappai dal Kosovo, con i miei andammo in Belgio. Ogni due mesi arrivava una lettera e scoprivamo chi era morto e chi no. Ho perso vicini, parenti, amici, ho visto l’orrore. Ecco perché non sarà solo una partita». Si gioca lunedì a Turku, Finlandia: qualificazioni ai Mondiali 2018, prima gara ufficiale della storia. «Siamo insieme da poco, è una squadra in costruzione, ma vogliamo vincere per la nostra gente» assicura Samir, che di cognome fa Ujkani e che della Përfaqësuesja kosovare è portiere e capitano.
Gioca in Italia, nel Pisa, in prestito dal Genoa, ed era in porta anche nella prima amichevole ufficiale, contro Haiti, marzo 2014, 0-0, una festa per i tre milioni di tifosi originari della terra autoproclamatasi indipendente dalla Serbia nel 2008. Quella sera, nell’inadeguato impiantino di Mitrovica, avvenne un altro fatto storico: cori a favore di Blatter, allora numero uno del calcio mondiale, senza il quale il nulla osta non sarebbe mai arrivato.
È stato un cammino lento e tormentato quello che ha portato la Federata Kosovës del cocciuto presidente-padrone Fadil Vokrri a entrare nella grande famiglia della Fifa, che il 13 maggio l’ha accolta con 141 sì contro 23 no, fra i quali ovviamente quello della Serbia. È stato un problema anche trovare un girone libero da incroci pericolosi, e alla fine la scelta è caduta sul gruppo I con Croazia, Finlandia, Turchia, Islanda e Ucraina. Il c.t. albanese Gianni De Biasi la definisce «una squadra senza esperienza ma con carattere e buona tecnica» e suggerisce di buttare un occhio su Milos Rashica, 20 anni, attaccante del Vitesse che piace al Napoli.
Per il resto il selezionatore Bunjaku (che pure ostenta sicurezza: «Andremo all’Europeo 2020») dovrà arrangiarsi con ragazzotti semisconosciuti dato che i migliori hanno rinunciato alla chiamata, chi per scelta (Januzaj, ala del Manchester United in prestito al Sunderland, sicuramente il talento migliore) e chi per regolamento. Tipo Granit Xhaka, centrocampista dell’Arsenal e nazionale svizzero, che ha spiegato la situazione ai connazionali attraverso una lettera aperta: «È la cosa più difficile della mia vita, ma avendo giocato l’Europeo non posso più cambiare squadra». Un pasticcio, quello dei documenti: su 25 convocati 6 sono ancora senza. La Fifa, messa peraltro in croce dalla federcalcio svizzera terrorizzata per un’eventuale diaspora di giocatori, ha spiegato che la materia è complicata ma ci si sta lavorando.
Lunedì comunque si gioca, assicurano da Pristina. Partita troppo importante, come dimostra anche la vicenda di Perparim Hetemaj, mediano del Chievo, kosovaro, lui pure scappato dalla guerra a sei anni e cresciuto in un centro di accoglienza finlandese. Oggi è titolare della nazionale del Paese che lo accolto, ma di giocare non se l’è sentita: «Scusatemi, ma contro la mia gente no». Ha rinunciato alla convocazione, ora rischia grosso. Ma è troppo sangue, troppa memoria. Storie balcaniche, che non finiscono mai.
6 giocatori del Kosovo convocati per lunedì sono in attesa del «sì» della Fifa