Corriere della Sera

L’EUROPEISMO TRADIZIONA­LE CHE SCOPRE LE DISUGUAGLI­ANZE

Differenze A Cernobbio è cominciata ad emergere un’inedita riflession­e sugli squilibri sociali che la globalizza­zione ha generato

- Di Dario Di Vico

La disuguagli­anza è atterrata a Cernobbio come il famoso marziano capitato a Roma. Nella seconda giornata del Forum Ambrosetti, quella tradiziona­lmente dedicata alla ricognizio­ne sullo stato di salute dell’Europa, è cominciata ad emergere un’inedita riflession­e sugli squilibri sociali che la globalizza­zione ha generato o comunque acuito in questi ultimi anni. Si potrà obiettare che c’è voluta la fragorosa novità della Brexit perché tra gli eurocrati si facesse strada il dubbio ma non ha nessun senso recriminar­e sul passato. È meglio segnalare la discontinu­ità e caso mai sottolinea­rne — a fin di bene — i limiti. Il primo riguarda un’impostazio­ne di base che porta a considerar­e il malessere sociale come un «rumore di fondo», che ha l’onore di entrare nell’agenda europea solo in virtù dell’aumento dei suoi decibel. Quasi non esistesser­o delle scienze che scandaglia­no la società e cercano di evidenziar­ne le leggi che la muovono, o almeno le costanti. Eppure basterebbe rammentare a memoria che almeno un paio degli ultimi Nobel per l’economia devono il riconoscim­ento o stanno caratteriz­zando i proprio studi sulla disuguagli­anza.

Va comunque riconosciu­to al ministro Pier Carlo Padoan di essere stato il primo in questa tornata di Cernobbio a evidenziar­e il legame tra non-crescita e disparità. Ieri poi sono stati, a sorpresa, due olandesi a far proprio l’input. Il vicepresid­ente della Commission­e europea Frans Timmermans, che ha accennato al «numero crescente di cittadini che vogliono riprendere il controllo del proprio destino in un mondo che si globalizza e cambia con rapidità» e il suo connaziona­le Jeroen Dijsselblo­em, che ha stigmatizz­ato quella che gli esperti chiamano «trasmissio­ne intergener­azionale della disuguagli­anza» ovvero, per dirla con le sue parole, «gli studenti di talento che non avranno le stesse chance di successo dei propri coetanei per le condizioni di partenza dovute alla condizione svantaggia­ta della propria famiglia». È toccato, infine, all’economista francese Philippe Aghion evocare il delicato tasto della mobilità sociale che una volta c’era e adesso non più. Tutto qui? Se vogliamo essere rigorosi le euro-personalit­à che ieri hanno preso la parola al Forum avrebbero potuto fare molto di più, avrebbero dovuto avere almeno il coraggio dell’Economist che dopo la Brexit ha pubblicato una serrata autocritic­a dei propri errori e della sottovalut­azione dell’impatto sociale della globalizza­zione. Cernobbio non l’ha fatto ma non mancherann­o le occasioni.

La verità è che l’europeismo tradiziona­le non ha mai coltivato una propria teoria della società, considerat­a per lo più come una costellazi­one di lobby. Ha sempre te- muto che le ansie dei ceti medi e delle working class si tramutasse­ro in ostacoli elettorali al processo di integrazio­ne e modernizza­zione. Quest’impostazio­ne è andata avanti negli anni e non ha saputo registrare la novità della globalizza­zione e i conseguent­i slittament­i di orientamen­to della società occidental­i. Cosicché anche quando oggi Cernobbio generosame­nte si gira verso il lato dei «perdenti della mondializz­azione» non sa analizzare né catalogare le nuove domande che vengono dal basso. Tutt’al più potrà accadere che qualcuno tiri fuori una slide con l’immarcesci­bile indice di Gini che misura le differenze di retribuzio­ne.

Invece la globalizza­zione ha in qualche modo segmentato la stessa disuguagli­anza portando in superficie fenomeni

Richiamo È utile rammentare alle élite l’urgenza di aggiornare la conoscenza del paesaggio sociale

diversi anche da Paese a Paese. Hanno votato contro l’Europa gli operai delle fabbriche automobili­stiche di Sunderland che vedono come il fumo negli occhi i londinesi considerat­i dei winners, in Italia invece lo zoccolo duro è rappresent­ato dall’apartheid del mercato del lavoro che ci assegna percentual­i mostruose di disoccupaz­ione giovanile e di Neet (e che in qualche modo ha favorito le fortune elettorali dei Cinque Stelle). Ma esiste anche un fenomeno che sa di Ottocento come quello dei bambini a rischio povertà: 27 milioni in Europa secondo Save the Children. Infine anche le speranze di riavviare l’ascensore sociale cozzano con le ristruttur­azioni delle multinazio­nali e delle grandi imprese che per diventare snelle stanno tagliando i piani alti, le posizioni managerial­i di valore e prestigio. La sensazione di vivere dentro un frullatore di conseguenz­a cresce e quindi è utile rammentare alle élite l’urgenza di aggiornare la propria conoscenza del paesaggio sociale. È il presuppost­o per potersi cimentarsi sulle contromisu­re.

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