Banche, sindacati sul piede di guerra Palazzo Chigi frena sugli esuberi
Il sottosegretario Baretta: infondato che il governo pensi a un piano di dimezzamento
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
Ventiquattr’ore dopo le parole di Matteo Renzi sugli esuberi nelle banche, tocca all’entourage del premier tentare di raffreddare le polemiche e rassicurare i sindacati del credito pronti allo sciopero generale. L’unica risposta, avvertono le sigle in una nota unitaria, all’ipotesi formulata al Forum Ambrosetti dal capo del governo che vede il dimezzamento dell’occupazione nei prossimi dieci anni, un orizzonte nel quale gli addetti dell’industria bancaria potrebbero ridursi a 150 mila unità dalle attuali 300 mila. Un taglio choc, è la preoccupazione generale, prodotto dall’innovazione tecnologica che, è il racconto di Renzi nel seminario a porte chiuse, «per esempio porta mia moglie a svolgere tutte le operazioni bancarie dal suo smartphone anziché in filiale».
Il nervo è a dir poco scoperto e le affermazioni del premier costringono un po’ tutti a reagire. Nell’ordine: i banchieri a Cernobbio invitano a riflettere sul «cambio del modello di business», i sindacati a Roma minacciano lo scontro frontale, l’Abi chiama le controparti al confronto. Filtra, tardivo, il messaggio da Palazzo Chigi: il governo si pone «l’obiettivo di ridurre i pleonastici consigli di amministrazione e il numero di poltrone, il ruolo della politica dentro le banche, le superconsulenze».
È più esplicito il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta: è «del tutto infondato che il governo pensi ad un piano decennale di dimezzamento del personale delle banche. Per quanto ci riguarda la riorganizzazione del settore deve partire dalla semplificazione degli organi dirigenti. Se vi saranno altre conseguenze il governo le seguirà con attenzione per evitare conseguenze negative sui lavoratori». Ma per i sindacati, il premier «con il più bieco populismo dichiara che bisogna ridurre gli occupati, ridurre il numero delle filiali, aggregare le banche. Ma chi pagherà i costi sociali? Con quali soldi?». Per il leader della Fabi Lando Silleoni «Renzi è stato mal consigliato. Dentro l’Abi c’è una componente che sta spingendo per i licenziamenti e non si tratta di esponenti di banche italiane ma estere».
Non si sente chiamata in causa Alessandra Perrazzelli, country manager di Barclays che ha appena ceduto la parte retail italiana a Mediobanca, come effetto di un piano europeo che vede la concentrazione in alcuni Paesi nelle sole at- tività di investimenti e corporale banking. «Anziché cercare colombe e falchi nell’Abi, è necessario trovare insieme ai sindacati una definizione del nuovo modello di banca». Luigi Abete, presidente di Bnl (Bnp Paribas) legge nelle parole di Renzi «una consapevolezza: non ci riduciamo tra dieci anni a discutere di queste cose».
Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, ricorda che, nella prima banca italiana, tra le prime in Europa, «il tema esuberi non si pone. E forse è interessante sapere perché: il processo di aggregazione e razionalizzazione è già alle nostre spalle e investiamo molto nella formazione e riqualificazione dei nostri collaboratori». Eliano Omar Lodesani, per conto dell’Abi, avanza la proposta di «fondare un nuovo patto sociale, che permetta a uno dei settori più vitali del nostro Paese di continuare sempre più a operare per il bene comune».
Il patto dell’Abi L’Associazione delle banche avanza la proposta di un patto sociale con i sindacati