«Fertility Day»: dopo le polemiche è opportuno riflettere
La campagna «Fertility Day» del ministero della Salute volta, secondo le intenzioni dei promotori, a colmare le lacune e a fare chiarezza sul tema della fertilità e dei fattori che mettono a rischio la salute riproduttiva della coppia, ha sollevato un polverone di critiche che rischia di occultare il fondamentale valore divulgativo dell’iniziativa. Senza dubbio sono tante le cause che rendono quello della riduzione della natalità un problema reale nel nostro Paese. Come pediatra, ho modo di verificare in prima persona le difficoltà delle coppie nel portare avanti la scelta di avere figli: dalla difficoltà di accedere agli asili per mancanza di posti, ma anche per i costi elevatissimi che questi comportano; dalle pressioni lavorative esercitate sulle donne che hanno figli, alla mancanza di incentivi e di una politica fiscale adeguata per le coppie con basso reddito. Allo stesso tempo, purtroppo, mi capita spesso di confrontarmi con papà e mamme che hanno dovuto superare numerosi ostacoli per avere un figlio, a volte perché hanno deciso di farlo in età avanzata. Gli ultimi dati Eurostat del 2014 fotografano l’Italia come un paese di mamme «anziane»: l’età media delle donne che hanno partorito il primo figlio è 30,7 anni, la più alta d’Europa dove la media è invece 28,8. Nel resto d’Europa, infatti, le neomamme hanno meno di 30 anni. Le più giovani sono in Bulgaria (25,8) e Romania (26,1). Sono certa che, nell’istituire il «Fertility Day», l’intento del ministero della Salute fosse quello di affrontare il problema sotto l’aspetto medicoscientifico e rendere accessibili alla popolazione informazioni preziose per la salvaguardia della capacità riproduttiva, come l’esistenza di fattori di rischio che possono incidere negativamente sulla possibilità di avere figli: fra questi, uno scorretto stile di vita, patologie ricorrenti quali endometriosi e varicocele e, soprattutto,